Testo - "Il passaggio: Romanzo" Sibilla Aleramo

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C'è una strada, fra tante che ho percorse, aperte al mio coraggio,
ch'io non ho cercate, che ho visto d'improvviso, una strada fra tutte
tracciata perch'io imparassi che cosa vuol dire camminare. Camminare,
andare innanzi avendo lasciato tutto dietro a sè, quanto di più
amaro ma anche quanto di più caro - e nessuno vi attende e nessuno
vi difende. La strada sale, ha svolte, intorno è deserto ondulato, in
basso una città grande appare e scompare. Io avevo venticinque anni.
Staccata da tutta la mia esistenza anteriore, il destino nuovo m'era
ignoto. Il mondo stava forse sciogliendosi da polverulente tele di
ragno, ricreato intero perch'io l'intendessi. Primavera intorno. E il
senso inesprimibile che tutto quanto era stato realtà si trasmutava,
oh lentissimamente, in ricordo, mentre le mie vene pulsavan veloci e
veloce e leggero era il mio passo. Il senso che anche il ricordo si
sarebbe un giorno fatto lieve, sommesso. Come se tutto fosse stato
soltanto incubo, cupa fantasia. E io l'avrei, con la stessa fatale
volontà del vento che feconda il fiore, riassunto in un libro, appunto
come una fremente immaginazione, avrei compiuto il tremendo sforzo
d'interpretare a guisa di sogno il lungo male e il lungo pianto...

Oh figlio, ma da quel sogno oscuro tu eri pur uscito, viva cosa di
carne, figlio, passione profonda del mio sangue...

Perché ti hanno tolto a me?

Eri mio, eri insieme con l'anima mia la sola cosa viva di quella mia
tetra giovinezza; t'avevo cresciuto come crescevo me stessa, non per
quei giorni, ma per altri che dovevan venire... Figlio, e ho potuto
portare in salvo fuor dell'incubo l'anima mia e non te, non te! Non
hanno voluto, per quanto ti chiedessi urlando... Sei rimasto lontano.
Lontano. Rimasto per sempre il bimbo che aveva già quasi sette anni.
Ho provato, creatura, ho provato a sentirti diverso, a pensare come
potevano essere i tuoi occhi quando avevi otto anni, quando avevi dieci
e dodici anni... Cercavo d'immaginare la tua statura mese per mese,
e il tuo sorriso e i tuoi capelli... Ma la tua voce, figlio, non la
potevo sapere. Venivi nel mio sonno, sogno d'un sogno. E nient'altro,
mai più.

Un secondo destino.

Strada in salita percorsa infinite volte quella primavera, bianca nel
sole, senza una voce sotto le stelle, ed io camminavo sola, scendevo
alla città, risalivo alla casa presso alla pineta, e con me stessa
parlavo per tutta la lunga ora.

Io sola a rispondermi.

Sola con qualcosa di saldo e di erto, ch'io però non sapevo, che
restava senza figurazione, senza alcun pensato rapporto con l'immensità
e la maestà intorno. Andavo. Ardendo di certezza, ardendo di volontà.
Talora sul volto infocato sentivo scorrere lagrime: ma non rallentavo
il passo. Talora la proda verde pareva invitarmi perché mi gettassi
bocconi singhiozzando: e non cedevo.

Primavera remota e santa. La rivivo a tratti nel mio cuore con uno
stupore sempre più profondo, ma non posso prender per mano la giovane
assorta ch'io ero allora, e mostrarla nel suo miracolo.

Qual era la mia nuova vera sorte? Che cosa aspettavo dalla mia
resistenza?

Ma non questo mi chiedevo. M'ero sottratta ad un'esistenza vile, m'ero
liberata sanguinante, dopo un combattimento durato per anni dentro di
me. Per me, sì. Per portar salva nel tempo la mia coscienza, sì. Ma già
mi pareva di andar nel mondo come un'innominata: una donna, fra tante
donne: una persona umana nel gran flutto dell'umanità. Avevo voluto
esser io, non per distinguermi ma per sentirmi degna di confondermi nel
tutto: non per credere in me ma per poter credere nella vita.

E quel ch'io ora voglio qui scrivere si divincola torvamente, tenta
sfuggirmi...

Anima, sii forte. Ci sono cime di ghiaccio lucenti nel sole che i miei
occhi potranno rivedere quando ti sarai purificata.

Dissi in quel tempo che soltanto ad un interiore comando avevo ubbidito
lasciando la casa dov'ero moglie e madre. Come si va ad un martirio. Ed
era vero. Dissi che nessuno m'incitava all'atto terribile, e che non
per amore d'un altr'uomo m'esponevo così a perdere per sempre la mia
creatura: anche ciò era vero.

Ma una cosa fu taciuta, allora e più tardi nel mio libro.

Non era per amore d'un altr'uomo ch'io mi liberavo: ma io amavo un
altr'uomo.