Testo - "La notte del Commendatore" Anton Giulio Barrili

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Il sole, quantunque si fosse a mezzo novembre e sotto le Alpi, amiche
degl'inverni precoci, non era mai parso così splendido come quel
giorno al nostro adolescente. Egli era allegro, felice, beato, e per
due buone ragioni.

Cominciamo dalla prima, e dalla più vicina eziandio. Egli non aveva
più, per quell'anno, da pensare agli esami.

Intenda la sua beatitudine chiunque, tra' miei più giovani lettori, ne
ha ancora parecchi da mandar giù e griderebbe volentieri: transeat a
me calix iste, se nulla nulla sperasse di essere esaudito. In verità,
gli è un grosso guaio cotesto, di dover rispondere sì o no intorno ad
una materia che non si è studiata, e ad uomini che qualche volta ne
sanno quanto noi, cioè a dire pochino, pochino. Aggiungete che qualche
volta il sì ed il no, anco a indovinarla, non bastano. Ci sono dei
professori assetati, i quali hanno fatto il conto colla statistica
alla mano, e pensano che, a questi patti, stando neutrali il diavolo e
i santi, il cinquanta per cento dei giovani vi rispondono in tono. Ora
questo non va bene; pretendono che l'alunno risponda per filo e per
segno; che sostenga il suo sì, o il suo no, corredandolo di documenti
e di prove.

Questi, s'intende, sono i professori birboni, che si stimano poi, ed
ai quali si manderanno volentieri i propri figli, se ne saranno
capitati, e se i professori avranno avuta la pazienza di aspettarli;
ma che pel momento si mandano a tutti i settecentomila settecento e
settantasette diavoli, nel paternostro della bertuccia.

In simili casi, al povero studente (povero perchè della sua scienza
non possedeva neanche gli spiccioli) gli bisognava destreggiarsi come
un pilota in burrasca, e in mare seminato di scogli. La reticenza,
così lodata una volta dal suo maestro fra tutte le figure retoriche,
gli sarebbe rinfacciata come una colpa. Ad altro, ad altro gli
conviene far capo; altri spedienti, altri artifizi gli occorrono.
Figuratevi che egli ha da diventare anche fisonomista, e cogliere tra
le grinze del volto, perfino nel modo di tenere gli occhiali, il
segreto dei mutevoli umori del suo Radamanto.

Un mio amico andava più oltre. Corrompeva la serva del professore,
ingenua creatura che credeva agli orecchini di princisbecco, per
sapere se quella notte il bravo uomo aveva dormito tutte le sue ore,
se i bimbi erano sani, se la signora non gli aveva fatto scene; e si
regolava in conformità dell'avviso.

Dunque, tornando alla contentezza del signor Nicolino, la prima
ragione era quella degli esami superati. E l'altra? L'altra era
questa: che il signor Nicolino era a Torino, senza sopraccapi, e che
non doveva tornar più per un pezzo a Dogliani. Non già che amasse poco
la famiglia; ma quella vita campagnuola, Dio santo, e dopo quattro
mesi di uggiose vacanze!...

Giudicatene voi. La mattina, tutti in casa si alzavano per tempo; la
gente di servizio al canto del gallo, perchè il pane lo s'impastava in
casa, perchè c'erano i pavimenti da scopare, le masserizie da
ripulire, le stoviglie da rigovernare, e via discorrendo; il signor
Amedeo, padre, una mezz'ora dopo, per uscire sui campi, a dar
l'occhiata del padrone ai mezzadri; la signora Caterina, madre, subito
dopo il marito, per sopraintendere alle faccende di casa, ma anzitutto
per farlo star su, lui, il dormiglione, che tra una chiamata e l'altra
di quella santa donna trovava ancora il modo di schiacciare il
sonnellin dell'oro.

Si vestiva a malincuore; usciva a stiracchiarsi ed a sbadigliare
nell'orto, per farsi cantare da una fante chiassosa il solito
ritornello - Chi sbadiglia non può mentire; o gli ha fame, o vuol
dormire; o gli ha qualche mal passato; o gli è forte innamorato.