Testo - "Racconti storici e morali" Cesare Cantù

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Così pensando e ruminando, non avea che finito di vestirmi, quando sento
bussare alla mia porta; entra il postino, e mi rimette una lettera, ma
molto grossa, che costava niente meno che trenta soldi. Prezzo enorme
per la borsa avizzita d'un teologhetto!

Abbandonatomi sul seggiolone, stetti un buon quarto d'ora esaminando la
soprascritta e il suggello, strologando da chi mi venisse.

Io ci ho un gusto matto a far così per combattere la mia curiosità; e
poi ghiribizzare co' più bei castelli in aria sul contenuto della
lettera.

Oggi poi la questione era se aprirla subito o aspettare domani. Non
volevo mettermi a rischio di leggere forse notizie sinistre, proprio il
mio giorno natalizio: sarebbe stato un cattivo pronostico per tutto
l'anno. L'infelice è superstizioso.

Tirai le buschette, e la sorte decise pel no. Cattivo segno! ma la mia
curiosità, animata da eroico coraggio, scosse il giogo della sorte e
delle ubbie; il suggello fu rotto, - lessi, ed i miei occhi s'empirono
di lacrime.

Dovetti deporre la lettera per calmarmi alquanto poi la rilessi. O
provvidenza eterna! o mia Giulietta! - strinsi al cuore la lettera, mi
posi in ginocchio colla fronte sino a terra, e sparsi le prime lacrime
di gioja che avessi versate in vita mia, ringraziando l'Onnipotente
della sua bontà.

La lettera veniva dal mio unico protettore, un negoziante di Francoforte
sul Meno, nella cui famiglia ero vissuto un pezzo come precettore. Per
un caso... No: dove c'è Dio non c'è caso!... Basta: per interposto del
mio mecenate, io era chiamato come capellano nelle terre d'un conte
dell'impero, ricco sfondato, con settecento scudi di paga, abitazione,
giardino e legna, e per giunta la speranza, quando andassi a genio al
signor conte, d'esser nominato precettore di suo figliuolo, con assegni
particolari. Doveva ai 19 ottobre trovarmi a Magdeburgo, ove il conte
faceva una scappata quel giorno, e desiderava vedermi.

Rimasi come stordito: tutti i miei voti erano compiuti. Lesto lesto
finii d'affazzonarmi, e colla lettera di nomina in tasca, non corsi no,
volai dalla Giulietta galluzzando. La sua padrona era per fortuna in
chiesa, onde la trovai sola soletta. Restò spaventata al vedermi com'ero
sfiatato, rosso come una brace, scintillante negli occhi; con angoscia
mi trasse nella sua cameretta, dove io voleva bene spiattellarle il
fatto, ma sì! non poteva formolar parole: piangevo, la stringevo fra le
braccia, appoggiava il mio viso ardente sulle spalle di lei, che tremava
di spavento.