In città era già quasi buio. Fuori, nell'aperta campagna, la luce
doveva indugiare forse un'altra mezz'ora; ma nelle strette vie dove mi
conduce la mia storia, l'ombra s'addensava.
Davanti all'uscio d'una casa bassa, nerastra, dall'aria malsana,
una ragazzetta sedeva sullo scalino di legno della soglia, guardando
lontano nella strada, con occhi intenti. L'uscio s'apriva accosto al
marciapiede e la soglia era poco elevata, sicchè i suoi piedini scalzi
posavano sul gelido ammattonato. In quella fredda sera di novembre, una
lieve nevicata che faceva tutte candide, tutte nitide le piazze ampie
ed allegre, circondate da case signorili, rendeva ancor più triste e
più lurido l'aspetto delle stradette anguste, dei vicoli tetri, dove la
bella neve, mescolandosi alla mota e alle immondizie sempre abbondanti
nei luoghi in cui vive agglomerata la povera gente, aveva presto
perduto la sua purezza.
Non uno fra i numerosi passanti diretti alle varie mète dei loro affari
o dei loro piaceri, notava la ragazzetta lì seduta, perchè non c'era
anima al mondo che si curasse di lei. Ell'era scarsamente vestita, e
di cenci dei più miseri. Aveva i capelli lunghi ed assai folti, ma così
scarmigliati che non le donavano punto. Invero pareva che nulla potesse
donare a quel visetto di bimba esile e malaticcia, i cui lineamenti,
affilato com'era, e d'un colorito scialbo, non offrivano la minima
attrattiva a chi per caso l'osservasse.
Belli erano certo i suoi occhioni neri; ma a contrasto con una faccia
tanto minuta e sparuta sembravano smisuratamente grandi, e ne facevano
risaltare la singolarità senza conferirle bellezza. Se qualcuno le
avesse voluto bene (non gliene voleva nessuno), se avesse avuto la
mamma (ahimè, non l'aveva), un'affettuosa parzialità avrebbe forse
trovato in lei qualche cosa da lodare. Così invece la povera piccina
si sentiva ripetere dieci volte il giorno ch'ella era la più brutta
creatura dell'universo; e, purtroppo, era la più maltrattata. Nessuno
l'amava ed ella non amava nessuno, nessuno le diceva mai una buona
parola, nessuno si dava pensiero di farla contenta e nemmeno di sapere
se non fosse infelice. Toccava appena gli otto anni ed era sola sulla
terra.
Non aveva che un divertimento, uno unico: le piaceva spiare l'arrivo
del vecchio che accendeva il lampione davanti alla casa, veder la
fiaccola lucente apparire in fondo alla strada, oscillando al vento,
e poi l'uomo salire di corsa su per la sua scala portatile e con
gesto rapido e sicuro far sgorgare dall'oscurità la vivida fiamma
che diffondeva tutt'intorno la gaiezza del suo chiarore. Un barlume
di gioia scendeva allora nel piccolo cuore desolato che ignorava la
giocondità. Il vecchio lampionaio non le parlava, non mostrava neanche
d'accorgersi della sua presenza, eppure spiando la sua venuta ella
provava quasi il sentimento con cui avrebbe atteso un amico.
doveva indugiare forse un'altra mezz'ora; ma nelle strette vie dove mi
conduce la mia storia, l'ombra s'addensava.
Davanti all'uscio d'una casa bassa, nerastra, dall'aria malsana,
una ragazzetta sedeva sullo scalino di legno della soglia, guardando
lontano nella strada, con occhi intenti. L'uscio s'apriva accosto al
marciapiede e la soglia era poco elevata, sicchè i suoi piedini scalzi
posavano sul gelido ammattonato. In quella fredda sera di novembre, una
lieve nevicata che faceva tutte candide, tutte nitide le piazze ampie
ed allegre, circondate da case signorili, rendeva ancor più triste e
più lurido l'aspetto delle stradette anguste, dei vicoli tetri, dove la
bella neve, mescolandosi alla mota e alle immondizie sempre abbondanti
nei luoghi in cui vive agglomerata la povera gente, aveva presto
perduto la sua purezza.
Non uno fra i numerosi passanti diretti alle varie mète dei loro affari
o dei loro piaceri, notava la ragazzetta lì seduta, perchè non c'era
anima al mondo che si curasse di lei. Ell'era scarsamente vestita, e
di cenci dei più miseri. Aveva i capelli lunghi ed assai folti, ma così
scarmigliati che non le donavano punto. Invero pareva che nulla potesse
donare a quel visetto di bimba esile e malaticcia, i cui lineamenti,
affilato com'era, e d'un colorito scialbo, non offrivano la minima
attrattiva a chi per caso l'osservasse.
Belli erano certo i suoi occhioni neri; ma a contrasto con una faccia
tanto minuta e sparuta sembravano smisuratamente grandi, e ne facevano
risaltare la singolarità senza conferirle bellezza. Se qualcuno le
avesse voluto bene (non gliene voleva nessuno), se avesse avuto la
mamma (ahimè, non l'aveva), un'affettuosa parzialità avrebbe forse
trovato in lei qualche cosa da lodare. Così invece la povera piccina
si sentiva ripetere dieci volte il giorno ch'ella era la più brutta
creatura dell'universo; e, purtroppo, era la più maltrattata. Nessuno
l'amava ed ella non amava nessuno, nessuno le diceva mai una buona
parola, nessuno si dava pensiero di farla contenta e nemmeno di sapere
se non fosse infelice. Toccava appena gli otto anni ed era sola sulla
terra.
Non aveva che un divertimento, uno unico: le piaceva spiare l'arrivo
del vecchio che accendeva il lampione davanti alla casa, veder la
fiaccola lucente apparire in fondo alla strada, oscillando al vento,
e poi l'uomo salire di corsa su per la sua scala portatile e con
gesto rapido e sicuro far sgorgare dall'oscurità la vivida fiamma
che diffondeva tutt'intorno la gaiezza del suo chiarore. Un barlume
di gioia scendeva allora nel piccolo cuore desolato che ignorava la
giocondità. Il vecchio lampionaio non le parlava, non mostrava neanche
d'accorgersi della sua presenza, eppure spiando la sua venuta ella
provava quasi il sentimento con cui avrebbe atteso un amico.