Testo - "Mattinate napoletane" Salvatore Di Giacomo

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Nel maggio, mentre al più piccolo alito di vento le rose tenerissime
concedono le foglie loro, disseminandole appiè d'un amoroso mandorlo
ancora in fiore, mentre da per tutto ov'è collina, o giardino, o
praticello passeggiano gravemente al sole gli scarabei e sbadigliano,
alta la testa viperina, le lucertole verdi, mentre il bosco è tutto in
chiacchiere di uccelli gelosi e si spande per la fresca campagna
l'indefinibile susurro degli insetti e una scia d'argento solca, sul
cammino lentissimo della lumaca, un muretto nell'orto, mentre tutto
questo, ch'è poesia dolcissima nell'aria buona o dolce, succede
lontano dalla città romorosa, qui la prosa cittadina va trascinando
per le vie cenci e magre suppellettili borghesi, sciorinati al sole di
maggio tra il polverio, le bestemmie dei facchini o il loro copioso
sudore di bestie affaticate. Si compie di questi giorni la frettolosa
bisogna dello sgombero, ed è un transito incessante di cose che
parlano, un viaggio di segreti trabalzanti su pel rotto selciato
napoletano. Il lettuccio, la spinetta antica, la poltrona favorita, il
boccaletto a fiori, ove così spesso l'amata ha bevuto i pensieri
dell'amante, il misero lume a petrolio onde furono rischiarate, presso
agli esami, le veglie laboriose d'uno studente di medicina, la gran
seggiola a ruote d'un paralitico, il canterano da' foderi cigolanti in
fondo ai quali ammucchiò tutto un tranquillo epistolario amoroso la
fiamma d'un impiegato alla Ferrovia, lo spiumaccino invernale, ricordo
della povera mamma morta, che usava di tenerlo sui piedi - tutto ciò
passa innanzi agli occhi, nel sole, e cammina, e muta posto e va
altrove, e passa da una luce d'un quinto piano all'oscurità di un
pianterreno, o dal buio al sole, chi sa dove, chi sa dopo che amari
rimpianti, e scompare.

Or, sopra uno di questi carretti scricchianti, tra molte scatole da
cappelli e un mucchio di cuscini, viaggiava una gabbietta. Dentro alla
gabbietta c'era un canarino giallo. Le suppellettili mutavan posto:
alla casa nuova la gabbiuzza fu appesa nel tinello che dava in un
giardino. Di rimpetto, dietro certe grate fitte, si vedevano
confusamente soggoli biancheggianti: c'era un antico monastero. Il
figlio della signora, un ragazzo che odorava di poesia, appena fu alla
nuova casa e, per la finestra del tinello, vide le monache, fu preso
da un impeto sentimentale e stampò una sessantina di versi claustrali
in un giornaletto letterario.

Il povero canarino poeta pur lui, era stato tolto piccoletto al nido,
e più non ricordava dove e come. Ricordava senza precisione certo
aggrovigliamento di rami e di fronde, una fiorita stesa di piano, un
gran pezzo di cielo azzurro - niente più. L'adozione era stata larga di
cure e, dapprima, dolce fu la prigione. E lì come se fosse stato a San
Pietro a Maiella, il canarino diventò un cantore elegantissimo, una
specie di tenorino di grazia.