Testo - "Mia Romanzo" Memini

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Di provincia, questo sì, ma una casa colossale e delle ricchezze degne
della storica nobiltà del nome; una casa come ce ne son poche ormai,
mercè la sacra e rovinosa giustizia, cui dobbiamo l'abolizione dei
privilegi di primogenitura.

E (incredibile ma vero) l'attuale capo della casa, Sua Eccellenza il
signor Principe d'Astianello, un bell'uomo sui quarantacinque anni,
vedovo, con una sola bambina, non voleva saperne di rimaritarsi.

Non già che gli fossero mancati suggerimenti in proposito. Amici,
parenti, chi aveva diritto a dar parere e chi non l'aveva, tutti
battevan quella solfa. Gli parlavano continuamente di visetti
adorabili, di doti cospicue, di educazioni finitissime, di alleanze
sovrane. Egli non diceva di no, non sfuggiva la visuale dei visetti
adorabili, non sprezzava le doti cospicue, lodava le finite
educazioni, onorava le quintessenze di sangue bleu... ma, ecco qua:
non sposava!

E però egli era severamente giudicato da un venerabile sinodo di
nonne, di mamme e di zie, cui teneva bordone un coro, più timido ma
non meno malcontento, d'interessanti vedovelle. Egli non parlava mai
della defunta Duchessa; non pareva, nè era infelice. Era quasi sempre
gioviale e di buon umore. Non era per nulla un santo padre del
deserto, godeva largamente e pacificamente dell'esistenza. Non
s'occupava di politica, ma se se ne fosse occupato sarebbe stato un
conservatore feroce e un implacabile codino. Lo era bensì per conto
proprio ed in casa sua, dove serbava gelosamente inalterate le
costumanze e le tradizioni della famiglia.

In casa d'Astianello c'eran sempre state le razze di cavalli; orbene,
egli continuava quell'abitudine, le razze ci sarebbero sempre, per
l'appunto. L'estesa dei pascoli era immensa e colà nitrivano e
sgambettavano i puledri delle cavalle ch'egli aveva ereditate puledre
dal padre suo. Le razze di casa d'Astianello erano antiche e pregiate
e costituivano una questione di dare ed avere non indifferente nonchè
una delle più apprezzate vanaglorie della famiglia. Il Principe, a
dirla qui fra noi, non se ne intendeva più che tanto, ma altri della
casa se ne intendeva per lui e qualchevolta i suoi cavalli, buscavano
il premio alle esposizioni ippiche. E allora che baldoria nella
tenuta!

Il Principe amava parlare dei suoi cavalli. Specialmente quando
qualche imprudente e zelante amico tentava intavolare, anche alla
lontana, quel benedetto argomento del matrimonio. Allora sì che
entrava in campo la scienza ippica. Il Principe prendeva a sfoderare
le sue cognizioni in fatto d'allevamento. Apriti cielo.... S'intende
piova, ma non tempesta. Ed era invece tempesta, ma così fatta, a
chicchi così grossi, così innumerevoli che il povero interlocutore
seccato a morte, stordito, assordato, non vedeva l'ora di battersela e
alla prima interruzione, se la batteva senz'altro. Il Principe rideva
e continuava... a non sposare.