Testo - "Mater dolorosa" Gerolamo Rovetta

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Gli pareva ancora di vederla: com'era cara in quel disordine, del
quale egli pure aveva la sua parte di colpa! Egli che si svegliava
sempre colla prima luce del mattino, si godeva a spiare la vaga
dormente... I capelli biondi, disciolti coprivano quasi tutto il
guanciale, disegnandosi in capricciosi errori attorno al collo e sulle
spalle seminude. La bocca umida, le guance fatte rosee da una mite
traspirazione... Ricordava ancora quel seno turgido e candidissimo che
si rialzava ad ogni respiro. Vinto dalla seduzione di quelle memorie,
Prospero Anatolio chiuse gli occhi e, piegandosi dove lo trascinava
l'immaginazione sua riscaldata, fece l'atto col quale gli piaceva
meglio di risvegliare la giovine sposa: Egli con un soffio
leggerissimo usava smuovere prima i capelli dalla fronte di lei, poi i
riccioli ribelli che le si torcevano sulla nuca moltiplicandosi:
accarezzava col fiato quella bocca socchiusa, fresca, ridente, quel
seno pulsante di giovinezza; e, in preda sempre alla irritante
visione, egli la vide ancora una volta scuotersi con un fremito,
aprire gli occhi, guardarlo trasognata; la vide arrossire, sorridere,
gettare un grido di bambina, e poi, vergognosa, stringerlo colle
bellissime braccia, nascondergli la testa sul petto, coprendogli il
volto con una grossa onda di capelli. Ma tutto ciò gli appariva come
in un sogno. Maria era sparita... sparita per sempre.

In preda a tanta follia di desideri, Anatolio si rivoltò smaniando nel
letto e finì, senza volerlo, col buttarsi là, rannicchiandosi, dove
avrebbe voluto la donna; la donna non c'era più, ma le coltri, le
lenzuola, tutta insomma quella parte del letto esalava ancora il
profumo della sua carne... un profumo caldo, acuto, inebbriante, che
lo aveva involto, con fascini occulti, in quella frenesia convulsa e
voluttuosa. Ansando, febbricitante, strinse allora, contro il petto
villoso, il guanciale di sua moglie; lo baciò, lo morse e: - Mio
Dio - balbettò - co... come so... sono infelice!