Io soglio meditare passeggiando. Se mi seggo, le idee mi si abbuiano
e mi viene il sonno. Ho bisogno di stare in piedi, di avere ritta
tutta la persona. E quando medito, fossi anche fra cento persone, sto
sempre lì, non mi distraggo mai. Mi chiamano distratto. La verità è che
siccome per me l'importante è spesso quello che medito e non quello
che dicono, tutto quel vento di parole che mi soffia all'orecchio non
giunge alla mente, non può distrarmi. Pure s'ingannano quelli che
veggendomi così raccolto in me, credono che io mediti sempre cose gravi
e importanti. La concentrazione diviene abitudine malaticcia, e spesso
dietro a quel raccoglimento non c'è che un inutile fantasticare. Nella
mia vita ho meditato più che letto. E a forza di lavoro il cervello
ha presa la pessima abitudine di lavorare anche dove non è materia,
lavoro a vuoto e malsano, e talora quello che appare meditazione,
non è che castelli in aria continuati a lungo, e ci sto dentro e mi
ci diverto. Sicchè, trattando anche argomenti gravi, che richiedono
tutta l'attenzione, mi avviene che sul più bello mi si rompe il filo,
e mi distraggo, e rifò qualche castello, e mi si mettono a traverso
le impressioni della giornata, camminando sempre, e il moto più mi
eccita, insino a che stanco mi seggo e chiudo gli occhi, e addormento
quelle onde e torno in porto. Il pensiero mi dice che bisogna stare
stretto all'argomento, tirar dritto, pure m'interrompo, e dico a me
stesso: bravo! oppure: No, non va così: e armeggio e gestisco, e mi
distraggo dietro a' miei castelli. Scrivere mi riesce difficile, perchè
non metto in carta, se non dopo lungo battagliare con me, e se vengono
pentimenti e son costretto a cassare, quel foglio mi pare brutto, e lo
straccio, e da capo. Parlare mi è più facile, perchè mi scrivo su d'un
pezzetto di carta l'ordine delle idee, o come si dice, lo scheletro, e
il resto lo abbandono al caso, salvo qualche punto che m'interessa e mi
attira, e dove studio a trovare la forma più adatta. Però siccome non
sono nato attore, anzi sono sincerissimo, quando giungo lì, ci giungo
freddo, e come volessi acchiappare per aria qualche cosa che non ha a
fare col resto, e tutti se ne accorgono, e la tanto studiata frase, non
fa effetto.
Così mi avvenne anche in Lacedonia. Ordii nella mente la tela del
discorso, e mi fu assai facile. Parlando a un pubblico mescolato di
amici e di avversarî tenaci, che non si erano degnati di venire a
farmi visita, pensai che dovevo mirare più a questi che a quelli, e mi
promettevo di dire loro tante cose gentili. Io mostrerò loro quanto
antichi e quanto saldi sono i legami di affetto, che mi stringono a
Lacedonia. Mostrerò il vivo desiderio che ho di riacquistare la mia
patria, se essi me ne porgono il modo. Trarrò da loro ogni sospetto
che io venga qui ad appoggiare un partito ad essi contrario. Io voglio
essere, conchiuderò, il deputato di tutti...
E perciò di nessuno!
Questa voce sonò nel mio cervello e mi ruppe la meditazione. Il
cervello cominciò a sottilizzare, come un vero teologo. E non ci fu
verso di cacciar via il teologo.
e mi viene il sonno. Ho bisogno di stare in piedi, di avere ritta
tutta la persona. E quando medito, fossi anche fra cento persone, sto
sempre lì, non mi distraggo mai. Mi chiamano distratto. La verità è che
siccome per me l'importante è spesso quello che medito e non quello
che dicono, tutto quel vento di parole che mi soffia all'orecchio non
giunge alla mente, non può distrarmi. Pure s'ingannano quelli che
veggendomi così raccolto in me, credono che io mediti sempre cose gravi
e importanti. La concentrazione diviene abitudine malaticcia, e spesso
dietro a quel raccoglimento non c'è che un inutile fantasticare. Nella
mia vita ho meditato più che letto. E a forza di lavoro il cervello
ha presa la pessima abitudine di lavorare anche dove non è materia,
lavoro a vuoto e malsano, e talora quello che appare meditazione,
non è che castelli in aria continuati a lungo, e ci sto dentro e mi
ci diverto. Sicchè, trattando anche argomenti gravi, che richiedono
tutta l'attenzione, mi avviene che sul più bello mi si rompe il filo,
e mi distraggo, e rifò qualche castello, e mi si mettono a traverso
le impressioni della giornata, camminando sempre, e il moto più mi
eccita, insino a che stanco mi seggo e chiudo gli occhi, e addormento
quelle onde e torno in porto. Il pensiero mi dice che bisogna stare
stretto all'argomento, tirar dritto, pure m'interrompo, e dico a me
stesso: bravo! oppure: No, non va così: e armeggio e gestisco, e mi
distraggo dietro a' miei castelli. Scrivere mi riesce difficile, perchè
non metto in carta, se non dopo lungo battagliare con me, e se vengono
pentimenti e son costretto a cassare, quel foglio mi pare brutto, e lo
straccio, e da capo. Parlare mi è più facile, perchè mi scrivo su d'un
pezzetto di carta l'ordine delle idee, o come si dice, lo scheletro, e
il resto lo abbandono al caso, salvo qualche punto che m'interessa e mi
attira, e dove studio a trovare la forma più adatta. Però siccome non
sono nato attore, anzi sono sincerissimo, quando giungo lì, ci giungo
freddo, e come volessi acchiappare per aria qualche cosa che non ha a
fare col resto, e tutti se ne accorgono, e la tanto studiata frase, non
fa effetto.
Così mi avvenne anche in Lacedonia. Ordii nella mente la tela del
discorso, e mi fu assai facile. Parlando a un pubblico mescolato di
amici e di avversarî tenaci, che non si erano degnati di venire a
farmi visita, pensai che dovevo mirare più a questi che a quelli, e mi
promettevo di dire loro tante cose gentili. Io mostrerò loro quanto
antichi e quanto saldi sono i legami di affetto, che mi stringono a
Lacedonia. Mostrerò il vivo desiderio che ho di riacquistare la mia
patria, se essi me ne porgono il modo. Trarrò da loro ogni sospetto
che io venga qui ad appoggiare un partito ad essi contrario. Io voglio
essere, conchiuderò, il deputato di tutti...
E perciò di nessuno!
Questa voce sonò nel mio cervello e mi ruppe la meditazione. Il
cervello cominciò a sottilizzare, come un vero teologo. E non ci fu
verso di cacciar via il teologo.