Aveva un aspetto, per dir così, tondo, autorevole e venerando: Vestiva
un po' all'antica, come conviene a un uomo che ha passato la
cinquantina, ma non senza eleganza, sopratutto non senza un'estrema
pulizia. I suoi alti solini inamidati, che quasi gli segavano il collo
taurino, erano d'un candore così lustro che parevano di specchio.
Estate e inverno, portava tuba e soprabito marron cupo: tuba grigia
l'estate, di feltro nero l'inverno. Si scopettava gli abiti da sè, più
volte il giorno, con una cura minuziosa addirittura incontentabile: il
suo vestiario, più che per l'uso, si logorava a furia di scopetta. Non
aveva che questa duplice manìa: scopettarsi gli abiti e mistificare la
gente. I suoi calzoni, d'una tinta chiara e immacolata, lasciavano
scorgere le calze di colore e facevano risaltare le scarpine di
coppale, ornate di un largo cappio di seta nera. Sulla sottoveste
brillava una catenina d'oro piccola e massiccia, da cui dondolava una
quantità di gingilli. Sull'addome prominente gli ciondolava un
pince-nez legato in oro, di forma quasi goldoniana. Egli, inoltre,
portava sempre guanti scuri, in filo di Scozia, finissimi: poi, un
bastoncino di canna d'India, con pomo liscio d'acciaio. Un aspetto,
ripeto, autorevole tondo e venerando, tra il magistrato e il console
d'una potenza europea, tra il ricco mercante di granaglie e il
ricevitore delle gabelle, tra il banchiere ritirato dagli affari e il
proprietario di vasti latifondi a mezzadria. Tale era, in pubblico, il
signor Nicola Bonacci, che si godeva, in tranquillità solitaria, le
sue rendite modeste sì, ma per lui più che sufficienti.
Faceva la vita del vecchio scapolo, con ambizioni molto limitate, ma
in una continua e invidiabile serenità, contentandosi del sole e della
pioggia e ringraziando vivamente l'Eterno tutte le volte che riesciva
a mistificare il prossimo.
Per un pezzo, le sue persecuzioni furono dirette contro la categoria
dei portinai.
un po' all'antica, come conviene a un uomo che ha passato la
cinquantina, ma non senza eleganza, sopratutto non senza un'estrema
pulizia. I suoi alti solini inamidati, che quasi gli segavano il collo
taurino, erano d'un candore così lustro che parevano di specchio.
Estate e inverno, portava tuba e soprabito marron cupo: tuba grigia
l'estate, di feltro nero l'inverno. Si scopettava gli abiti da sè, più
volte il giorno, con una cura minuziosa addirittura incontentabile: il
suo vestiario, più che per l'uso, si logorava a furia di scopetta. Non
aveva che questa duplice manìa: scopettarsi gli abiti e mistificare la
gente. I suoi calzoni, d'una tinta chiara e immacolata, lasciavano
scorgere le calze di colore e facevano risaltare le scarpine di
coppale, ornate di un largo cappio di seta nera. Sulla sottoveste
brillava una catenina d'oro piccola e massiccia, da cui dondolava una
quantità di gingilli. Sull'addome prominente gli ciondolava un
pince-nez legato in oro, di forma quasi goldoniana. Egli, inoltre,
portava sempre guanti scuri, in filo di Scozia, finissimi: poi, un
bastoncino di canna d'India, con pomo liscio d'acciaio. Un aspetto,
ripeto, autorevole tondo e venerando, tra il magistrato e il console
d'una potenza europea, tra il ricco mercante di granaglie e il
ricevitore delle gabelle, tra il banchiere ritirato dagli affari e il
proprietario di vasti latifondi a mezzadria. Tale era, in pubblico, il
signor Nicola Bonacci, che si godeva, in tranquillità solitaria, le
sue rendite modeste sì, ma per lui più che sufficienti.
Faceva la vita del vecchio scapolo, con ambizioni molto limitate, ma
in una continua e invidiabile serenità, contentandosi del sole e della
pioggia e ringraziando vivamente l'Eterno tutte le volte che riesciva
a mistificare il prossimo.
Per un pezzo, le sue persecuzioni furono dirette contro la categoria
dei portinai.