Testo - "Novelle umoristiche" Adolfo Albertazzi

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Felicità è una vana parola? - Persona alta e forte; baffi neri e fieri;
voce baritonale e, se bisognava, imperiosa; eppoi: un pennacchio bianco
al kepì; spada al fianco e assisa quasi militare; saluto alla militare
dai subalterni; dominio sul palco in piazza a dirigere la banda nei
giorni di festa; precedenza a tutti nelle processioni e nei trasporti
funebri; direzione dell'orchestra in teatro; autorità di maestro sui
cittadini idonei alla musica; autorità di cittadino notevole; stipendio
sufficiente per una vita tranquilla; tranquillità di scapolo: tutto ciò
dovrebbe pur bastare a rendere felice un uomo!

Che se il maestro Bonarca incolpava i creditori dell'essere caduto in
miseria da tanta sua felicità, egli era ingiusto appunto perchè ogni
creditore, benefattore con o senza usura, corre il pericolo che il
beneficato ponga fine al debito ponendo fine alla vita.

Ah! vana parola è la gloria; e rovinosa passione l'ambizione; e
debolezza la confidenza nel nostro ingegno, non meno che fallaci,
insani sono i sogni dell'anima nostra; e morbo la poesia e la melodia
di cui risuoni l'anima nostra. Infatti quando il maestro Bonarca non
avesse dato ascolto ai cattivi amici e a sè medesimo, non si sarebbe
incamminato mai verso il canal Torbo con il proposito d'affogarvi.

Fu così: In poco tempo aveva composta la Sposa selvaggia
(centocinquanta lire al poeta del libretto: prima spesa), e i giornali
cittadini avevano preannunciato il capolavoro (sovvenzioni ai cronisti:
seconda spesa); poi (altre spese) il maestro era andato a Milano,
a Torino, a Bologna in cerca di un editore, di un mecenate, di un
impresario. Quindi aveva avuta la sciagurata idea di assumere per sè
l'impresa al teatro della sua città. Gli amici incitavano; qualcuno
prometteva aiuto e, sebbene il Comune ricusasse la dote teatrale, uno
stimato commerciante accondiscese a firmare l'avallo nelle cambiali di
lui, che sacrificava alla gloria tutte le economie del passato e molte
economie dell'avvenire. E la Sposa selvaggia aveva ottenuta fortuna
quasi uguale a quella desiderata. Se non che i cittadini d'una città
piccola non vanno a teatro tutte le sere; nè i paesani delle vicinanze,
ignoranti che sarebbero accorsi in folla a udir la Traviata o il
Trovatore, si lasciaron persuadere da una costosissima réclame
e dalla fama dell'opera nuova. Inoltre, ammalatasi la prima donna,
l'altra, chiamata d'urgenza a sostituirla, aveva messo voce e opera
a caro prezzo. E infine, dopo tante angustie che solo un uomo di
coraggio eroico poteva dissimulare; dopo tante contese, vinte a
fatica di polmoni strepitosi e di occhi biechi, con i cantanti, i
suonatori, i pittori, i macchinisti, i coristi che non rimettevano a
dopo il sabato il pagamento della mercede, era avvenuta la catastrofe:
il commerciante dell'avallo contro ogni previsione era fallito e
fuggito. Avevano sparsa nel giorno la tremenda notizia: fuggito con
i quattrini! Canaglia! ladro! assassino! Socio al maestro Bonarca.
Sul quale si riverserebbero l'odio e le calunnie dei creditori; le
cambiali protestate; il disprezzo della cittadinanza; la diffidenza
della patria tutta. L'infelice, per colpa della sua Sposa, si vide
perduto; si credè abbandonato; si sentì solo al mondo, solo con la
Sposa selvaggia e col disonore....

Ond'ecco, a pochi passi, il canale e la morte.