Testo - "Novelle lombarde" Avancinio Avancini

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La contrada era piena di gente: uomini donne, vecchi, bambine, quasi
ammonticchiàti gli uni su gli altri. E tutte quelle faccie impazienti
erano volte verso una sola parte dove aprivasi il portone della chiesa
come un gran buco nero, sormontato dagli affreschi allegorici. In
fondo, presso l'altare, lucevano alcune fiammelle, cioè lampade e
candele, schierate intorno ai dieci vescovi di rame inargentato:
presso il campanile una ventina di fanciulletti ondulavano in su ed in
giù, vociando e battendo le mani allorchè passavano i chierici in
cotta bianca.

Quand'ecco la porta dell'uffizio comunale si aperse; il cursore
comparve col berretto di gala in testa e la guardia forestale gli
tenne dietro, curva nella sua divisa grigia dagli orli verdi. Poi
uscirono tre o quattro contadini vestiti di scuro, poi spuntò lo
sposo, poi finalmente la sposa, timida, timida, con l'abito color
latte e vino, un gran velo nero buttato sul capo e gli occhi bassi
verso terra.

Fu un grande scoppio di grida, saluti e risa: la comitiva s'ingolfò
nella chiesa e la folla dentro anch'essa confusamente, allegramente.

Il cappellano, a suon d'organo, celebrò il matrimonio, in piedi sui
gradini dell'altare parato con un damasco a fondo verde e striscie
d'oro. I balaustri di marmo splendevano spolveràti e ripuliti con
cura: dalle muraglie bianche pendevano i piccoli quadri della
passione, ornàti da una crocetta di stagno. E la cerimonia fu breve;
quattro genuflessioni, quattro parole in latino, una benedizione e gli
sposi vennero lasciàti in libertà. Poveri diavoli! avevano le orecchie
intronate e il sangue in orgasmo.

Procolo coi due camerati, un paio d'altri amici e suo padre precedeva
di venti passi Luigia e le donne: che, affrettando il passo per la
strada un po' fangosa e fredda, incespicavano contro le pietre e
sudavano dal capo alle piante. Esse non ciarlavano molto: avevano fame
ed erano stanche.

Quanta poesia in quel viaggio traverso i campi leggiermente velàti
dalla nebbia di febbraio, dove sorgevano i pioppi alti e nudi e si
vedevano sbucar su dal verde le casette bigie coi comignoli rudi e le
finestre ben chiuse! Anche Procolo ne era commosso, senza capir come e
perchè: egli taceva e sorrideva, felice come non era stato mai.

Arrivarono in paese. Là pure una quantità di persone li aspettava,
curiose di veder la nuova compagna. E fu un urlo, un chiasso
indiavolato intorno a loro, perchè alcuni salutavano Procolo, altri lo
perseguitavano a facezie, altri fingevano insultarlo. La sposa per la
vergogna non sapeva più in che mondo si fosse: cento occhi la
squadravano di sotto in su, encomiando o censurando il suo
abbigliamento per il colore, la foggia, il portamento, il velo, gli
spadini e la capigliatura. Perocchè avevano osservato che gli spadini
erano moltissimi, cinquanta circa, e ricchissimi, cioè ben lavorati e
d'argento fino; ma si erano anche accorti che la rendevano troppo
grassa con una faccia di luna piena.

A casa li attendeva un'insidia; i parenti e coinquilini avevano
internamente barricato il portone: onde, mentre gli uomini con Procolo
facevan di tutto per aprirlo con urti, spintoni e colpi di pugno, alla
sposa sopraggiunta furono lanciate pallottole di neve, prese chi sa in
che luogo. Le sue compagne distribuivano confetti.