Ma egli non aveva veramente da confidargli nulla. Con gli amici suoi
non c'era ombra di combinazioni politiche. A quei tempi non occorreva
neanche cospirare; la rivoluzione era nell'aria; i giovani e i maturi
si riconoscevano per via a cert'aspetto più ilare, più baldanzoso di
prima, si stringevano la mano con forza, anche quando si vedevano per
la prima volta, e non c'era più altro da aggiungere, nè concerti da
prendere, nè parole d'ordine da far correre intorno.
Otto anni prima era stata una triste caduta delle speranze italiane.
Ma a quella caduta era seguito più dolore che abbattimento di spirito.
Anche i principi, i tirannelli, rientrando nei loro dominî sotto la
scorta delle baionette austriache, non potevano esser peggio ispirati,
poichè gli stranieri, abbastanza tranquilli da prima, erano ritornati
burbanzosi e tracotanti; nè solamente trattavano con soldatesca
arroganza i ribelli, coloro che avevano osato prender le armi per la
guerra santa, ma anche i pacifici e timorosissimi sudditi, che
avevano tremato per le incertezze dei nuovi tempi e veduto con una
certa soddisfazione il ritorno degli antichi padroni. Ahimè! Qual
compagnia rumorosa e molesta conducevano quei cari padroni con sè! Non
era per le vie che un batter di sproni, e un saltellar di sciabole sul
ciottolato. I caffè invasi; i quadrivii occupati, contesi al passaggio
dei cittadini; da per tutto un vocìo di ordine ristabilito, di armi
vittoriose, di birbanti italiani rimessi al dovere. Anche quei
pacifici e timorosissimi sudditi erano Italiani, e l'offesa toccava
anche loro. Nè il caro ed amato principe si prendeva la briga di
reprimere la burbanza de' suoi alleati, quando nei caffè insolentivano
con gli uomini, o per le vie mancavano di rispetto con le donne, o
nelle botteghe pagavano quel che volevano, se pure non pagavano
affatto. Si narra del ritorno degli Austriaci a Milano (veramente,
dopo la caduta dell'effimero regno di Eugenio Beauharnais), che un
caldo amico dei vecchi oppressori andò incontro ai soldati delle
uniformi bianche, e, vedute entrare le artiglierie in città, preso da
un impeto di passione, si fece avanti per toccare con le sue dita un
cannone. Tanto amore doveva avere il suo premio, e l'ebbe subito dalla
bacchetta di nocciuolo di un caporale, che gli levò dal dorso della
mano due centimetri almeno di pelle. Bravi caporali, che picchiavate
così sodo; bravissimi tenenti, che facevate suonar così bene gli
sproni e saltellare le sciabole sui selciati italiani; eccellenti
principi, che non facevate rispettare i vostri fedelissimi sudditi, e
lasciavate che i vostri felicissimi Stati fossero trattati come
territorio di conquista; grazie a voi tutti, dal profondo dei cuori!
Così erano alienati dalla restaurazione gli animi di quei medesimi che
l'avevano invocata. Frattanto, il giovane Piemonte reggeva contro le
esortazioni e perfino contro le minacce dei consiglieri
settentrionali. Generalmente, non s'intendeva come fosse spalleggiato,
incuorato a resistere, e pareva strano quell'ardimento di un piccolo
Stato che manteneva, unico in Italia, la sua costituzione liberale ed
ospitava i fuorusciti, i naufraghi di tutte le rivoluzioni della
penisola. Ma già tutti intendevano come da quella diseguaglianza di
forme e d'indirizzi, che era visibile tra esso e gli altri Stati
italiani, dovessero nascere attriti, malumori, quistioni grosse, e un
giorno o l'altro ragioni di guerra.
E poi, quel piccolo Piemonte, che pochi anni addietro aveva dovuto
rimettere la spada nel fodero, che aveva dovuto ricevere entro le mura
di Alessandria un presidio nemico, sentendo suonare dalla sua musica
schernitrice l'inno dei Fratelli d'Italia, quel piccolo Piemonte
aveva sollecitamente provveduto a riordinare l'esercito. Un bel
giorno, che è, che non è, quel piccolo Piemonte osava mandare
ventimila uomini a combattere nella Crimea, accanto agli eserciti di
Francia e d'Inghilterra. Le condizioni d'Europa incominciavano a
chiarirsi: Francia e Inghilterra da un lato; Austria e Stati minori
della Germania dall'altro. Si metteva da questo anche la Russia?
Dall'altro si aggiungeva la Turchia. Erano ancora tre contro tre, e il
Piemonte nel mezzo, il Piemonte, che, vincendo al ponte di Traktir,
accennava di voler crescere ancora, e chi sa, di rifar esso l'Italia.
Questi i fatti d'allora; queste le ragioni per cui non era mestieri di
cospirare, la rivoluzione essendo nell'aria, come l'ossigeno.
Quind'innanzi non sarebbe più bisognato dare il proprio nome ad una
società segreta, ordire focosi disegni di rivolta a giorno fisso,
farsi spiare, correr pericolo di tradimenti e d'insidie. Una parola
colta a volo, un'occhiata, una stretta di mano e un sorriso, dicendo
le comuni speranze, affratellavano i cuori. Che bisogno c'era egli di
dire il giorno e l'ora, se l'uno e l'altra erano vicini? Poteva
battere da un anno, poteva battere da due; ma a chi aveva tanto
sofferto, a chi ricordava tanti secoli di servitù e di vergogna, due
anni, tre anni, anche quattro, si potevano aspettare, maturando i
propositi della riscossa. Ormai questa non doveva mancare; i giovani
di quella generazione sentivano istintivamente che ne sarebbero stati
essi i soldati.
non c'era ombra di combinazioni politiche. A quei tempi non occorreva
neanche cospirare; la rivoluzione era nell'aria; i giovani e i maturi
si riconoscevano per via a cert'aspetto più ilare, più baldanzoso di
prima, si stringevano la mano con forza, anche quando si vedevano per
la prima volta, e non c'era più altro da aggiungere, nè concerti da
prendere, nè parole d'ordine da far correre intorno.
Otto anni prima era stata una triste caduta delle speranze italiane.
Ma a quella caduta era seguito più dolore che abbattimento di spirito.
Anche i principi, i tirannelli, rientrando nei loro dominî sotto la
scorta delle baionette austriache, non potevano esser peggio ispirati,
poichè gli stranieri, abbastanza tranquilli da prima, erano ritornati
burbanzosi e tracotanti; nè solamente trattavano con soldatesca
arroganza i ribelli, coloro che avevano osato prender le armi per la
guerra santa, ma anche i pacifici e timorosissimi sudditi, che
avevano tremato per le incertezze dei nuovi tempi e veduto con una
certa soddisfazione il ritorno degli antichi padroni. Ahimè! Qual
compagnia rumorosa e molesta conducevano quei cari padroni con sè! Non
era per le vie che un batter di sproni, e un saltellar di sciabole sul
ciottolato. I caffè invasi; i quadrivii occupati, contesi al passaggio
dei cittadini; da per tutto un vocìo di ordine ristabilito, di armi
vittoriose, di birbanti italiani rimessi al dovere. Anche quei
pacifici e timorosissimi sudditi erano Italiani, e l'offesa toccava
anche loro. Nè il caro ed amato principe si prendeva la briga di
reprimere la burbanza de' suoi alleati, quando nei caffè insolentivano
con gli uomini, o per le vie mancavano di rispetto con le donne, o
nelle botteghe pagavano quel che volevano, se pure non pagavano
affatto. Si narra del ritorno degli Austriaci a Milano (veramente,
dopo la caduta dell'effimero regno di Eugenio Beauharnais), che un
caldo amico dei vecchi oppressori andò incontro ai soldati delle
uniformi bianche, e, vedute entrare le artiglierie in città, preso da
un impeto di passione, si fece avanti per toccare con le sue dita un
cannone. Tanto amore doveva avere il suo premio, e l'ebbe subito dalla
bacchetta di nocciuolo di un caporale, che gli levò dal dorso della
mano due centimetri almeno di pelle. Bravi caporali, che picchiavate
così sodo; bravissimi tenenti, che facevate suonar così bene gli
sproni e saltellare le sciabole sui selciati italiani; eccellenti
principi, che non facevate rispettare i vostri fedelissimi sudditi, e
lasciavate che i vostri felicissimi Stati fossero trattati come
territorio di conquista; grazie a voi tutti, dal profondo dei cuori!
Così erano alienati dalla restaurazione gli animi di quei medesimi che
l'avevano invocata. Frattanto, il giovane Piemonte reggeva contro le
esortazioni e perfino contro le minacce dei consiglieri
settentrionali. Generalmente, non s'intendeva come fosse spalleggiato,
incuorato a resistere, e pareva strano quell'ardimento di un piccolo
Stato che manteneva, unico in Italia, la sua costituzione liberale ed
ospitava i fuorusciti, i naufraghi di tutte le rivoluzioni della
penisola. Ma già tutti intendevano come da quella diseguaglianza di
forme e d'indirizzi, che era visibile tra esso e gli altri Stati
italiani, dovessero nascere attriti, malumori, quistioni grosse, e un
giorno o l'altro ragioni di guerra.
E poi, quel piccolo Piemonte, che pochi anni addietro aveva dovuto
rimettere la spada nel fodero, che aveva dovuto ricevere entro le mura
di Alessandria un presidio nemico, sentendo suonare dalla sua musica
schernitrice l'inno dei Fratelli d'Italia, quel piccolo Piemonte
aveva sollecitamente provveduto a riordinare l'esercito. Un bel
giorno, che è, che non è, quel piccolo Piemonte osava mandare
ventimila uomini a combattere nella Crimea, accanto agli eserciti di
Francia e d'Inghilterra. Le condizioni d'Europa incominciavano a
chiarirsi: Francia e Inghilterra da un lato; Austria e Stati minori
della Germania dall'altro. Si metteva da questo anche la Russia?
Dall'altro si aggiungeva la Turchia. Erano ancora tre contro tre, e il
Piemonte nel mezzo, il Piemonte, che, vincendo al ponte di Traktir,
accennava di voler crescere ancora, e chi sa, di rifar esso l'Italia.
Questi i fatti d'allora; queste le ragioni per cui non era mestieri di
cospirare, la rivoluzione essendo nell'aria, come l'ossigeno.
Quind'innanzi non sarebbe più bisognato dare il proprio nome ad una
società segreta, ordire focosi disegni di rivolta a giorno fisso,
farsi spiare, correr pericolo di tradimenti e d'insidie. Una parola
colta a volo, un'occhiata, una stretta di mano e un sorriso, dicendo
le comuni speranze, affratellavano i cuori. Che bisogno c'era egli di
dire il giorno e l'ora, se l'uno e l'altra erano vicini? Poteva
battere da un anno, poteva battere da due; ma a chi aveva tanto
sofferto, a chi ricordava tanti secoli di servitù e di vergogna, due
anni, tre anni, anche quattro, si potevano aspettare, maturando i
propositi della riscossa. Ormai questa non doveva mancare; i giovani
di quella generazione sentivano istintivamente che ne sarebbero stati
essi i soldati.