Testo - "La montanara" Anton Giulio Barrili

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Ma egli non aveva veramente da confidargli nulla. Con gli amici suoi non c'era ombra di combinazioni politiche. A quei tempi non occorreva neanche cospirare; la rivoluzione era nell'aria; i giovani e i maturi si riconoscevano per via a cert'aspetto più ilare, più baldanzoso di prima, si stringevano la mano con forza, anche quando si vedevano per la prima volta, e non c'era più altro da aggiungere, nè concerti da prendere, nè parole d'ordine da far correre intorno.

Otto anni prima era stata una triste caduta delle speranze italiane. Ma a quella caduta era seguito più dolore che abbattimento di spirito. Anche i principi, i tirannelli, rientrando nei loro dominî sotto la scorta delle baionette austriache, non potevano esser peggio ispirati, poichè gli stranieri, abbastanza tranquilli da prima, erano ritornati burbanzosi e tracotanti; nè solamente trattavano con soldatesca arroganza i ribelli, coloro che avevano osato prender le armi per la guerra santa, ma anche i pacifici e timorosissimi sudditi, che avevano tremato per le incertezze dei nuovi tempi e veduto con una certa soddisfazione il ritorno degli antichi padroni. Ahimè! Qual compagnia rumorosa e molesta conducevano quei cari padroni con sè! Non era per le vie che un batter di sproni, e un saltellar di sciabole sul ciottolato. I caffè invasi; i quadrivii occupati, contesi al passaggio dei cittadini; da per tutto un vocìo di ordine ristabilito, di armi vittoriose, di birbanti italiani rimessi al dovere. Anche quei pacifici e timorosissimi sudditi erano Italiani, e l'offesa toccava anche loro. Nè il caro ed amato principe si prendeva la briga di reprimere la burbanza de' suoi alleati, quando nei caffè insolentivano con gli uomini, o per le vie mancavano di rispetto con le donne, o nelle botteghe pagavano quel che volevano, se pure non pagavano affatto. Si narra del ritorno degli Austriaci a Milano (veramente, dopo la caduta dell'effimero regno di Eugenio Beauharnais), che un caldo amico dei vecchi oppressori andò incontro ai soldati delle uniformi bianche, e, vedute entrare le artiglierie in città, preso da un impeto di passione, si fece avanti per toccare con le sue dita un cannone. Tanto amore doveva avere il suo premio, e l'ebbe subito dalla bacchetta di nocciuolo di un caporale, che gli levò dal dorso della mano due centimetri almeno di pelle. Bravi caporali, che picchiavate così sodo; bravissimi tenenti, che facevate suonar così bene gli sproni e saltellare le sciabole sui selciati italiani; eccellenti principi, che non facevate rispettare i vostri fedelissimi sudditi, e lasciavate che i vostri felicissimi Stati fossero trattati come territorio di conquista; grazie a voi tutti, dal profondo dei cuori!

Così erano alienati dalla restaurazione gli animi di quei medesimi che l'avevano invocata. Frattanto, il giovane Piemonte reggeva contro le esortazioni e perfino contro le minacce dei consiglieri settentrionali. Generalmente, non s'intendeva come fosse spalleggiato, incuorato a resistere, e pareva strano quell'ardimento di un piccolo Stato che manteneva, unico in Italia, la sua costituzione liberale ed ospitava i fuorusciti, i naufraghi di tutte le rivoluzioni della penisola. Ma già tutti intendevano come da quella diseguaglianza di forme e d'indirizzi, che era visibile tra esso e gli altri Stati italiani, dovessero nascere attriti, malumori, quistioni grosse, e un giorno o l'altro ragioni di guerra.

E poi, quel piccolo Piemonte, che pochi anni addietro aveva dovuto rimettere la spada nel fodero, che aveva dovuto ricevere entro le mura di Alessandria un presidio nemico, sentendo suonare dalla sua musica schernitrice l'inno dei Fratelli d'Italia, quel piccolo Piemonte aveva sollecitamente provveduto a riordinare l'esercito. Un bel giorno, che è, che non è, quel piccolo Piemonte osava mandare ventimila uomini a combattere nella Crimea, accanto agli eserciti di Francia e d'Inghilterra. Le condizioni d'Europa incominciavano a chiarirsi: Francia e Inghilterra da un lato; Austria e Stati minori della Germania dall'altro. Si metteva da questo anche la Russia? Dall'altro si aggiungeva la Turchia. Erano ancora tre contro tre, e il Piemonte nel mezzo, il Piemonte, che, vincendo al ponte di Traktir, accennava di voler crescere ancora, e chi sa, di rifar esso l'Italia.

Questi i fatti d'allora; queste le ragioni per cui non era mestieri di cospirare, la rivoluzione essendo nell'aria, come l'ossigeno. Quind'innanzi non sarebbe più bisognato dare il proprio nome ad una società segreta, ordire focosi disegni di rivolta a giorno fisso, farsi spiare, correr pericolo di tradimenti e d'insidie. Una parola colta a volo, un'occhiata, una stretta di mano e un sorriso, dicendo le comuni speranze, affratellavano i cuori. Che bisogno c'era egli di dire il giorno e l'ora, se l'uno e l'altra erano vicini? Poteva battere da un anno, poteva battere da due; ma a chi aveva tanto sofferto, a chi ricordava tanti secoli di servitù e di vergogna, due anni, tre anni, anche quattro, si potevano aspettare, maturando i propositi della riscossa. Ormai questa non doveva mancare; i giovani di quella generazione sentivano istintivamente che ne sarebbero stati essi i soldati.