Testo - "Il Conte di Virtù" Carlo Belgiojoso

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Sorgeva esso a due piani, da una base quadrilatera, in mezzo ad uno
sfasciume di macerie ivi deposte da gran tempo ed inerbate di musco e
d'ortiche. Cinto per tre lati da una spianata di terra mossa, guardava
pel quarto sulle mura, e vi aveva uscita per una porta colle imposte
corrose, ravvicinate da chiavistelli irruginiti.

Tale edificio, costrutto di bigia migliolite fin sopra la finestra
del piano terreno, era coperto pel resto di una rinzaffattura tutta
sgretolata. L'avresti detta una torre mozza, danneggiata più dalla
violenza degli uomini che non del tempo, cui erasi aggiunto un tetto
d'ardesia per destinarla ad abitazione d'alcuno. Dalle sue forme
robuste traspariva alcun che di ribaldo; rassomigliava ad un vecchio,
che, dal suo reggersi fermo e dal suo fare risoluto, lascia indovinare
essere egli stato a' suoi dì un prode.

La muraglia era qua e là sparsa di finestre, che più propriamente si
sarebbero chiamate feritoie, tanto erano alte e ristrette. Solo una
aprivasi più ampia verso le mura, e quella era contornata da un giro
di pietre disposte ad arco, entro cui due minori volte coincidevano
sull'àbaco di una esile colonna spirale. Grosse spranghe di ferro
attraversavano orizzontalmente ogni apertura, ed una grata egualmente
solida, ma meno inelegante, chiudeva dietro la colonna la finestra
superiore.

Se questo edificio sorgesse a' dì nostri, non s'avrebbe fatica ad
indovinarne l'origine; fors'anche qualche leggenda tradizionale ci
porrebbe sulla via di scoprirne e di tesserne la storia. - Ma lasciando
da banda le indagini inutili, v'ha quanto basta per classificarlo tra
gli avanzi di quelle bastite, entro cui nel medio evo si ricoverava la
prepotenza feudale; ridotti inaccessibili, di cui, più che altra città,
andava superba la cospicua sede dei re longobardi.

L'imaginosa credulità degli uomini d'allora correva al di là di questa
spiegazione, e ravvisando in quelle ruine abbandonate l'ignominiosa
decrepitezza attribuita alle fatucchiere, nutriva la credenza che
fossero opera d'arte diabolica; che fantasmi e spettri ivi convenissero
ogni notte a celebrare riti infami. - Nessuno osava quindi mettere
piede là dentro, e neppure avvicinarsi a quelle mura. E se taluno
era costretto a percorrere il sentiero vicino, vi si metteva di pieno
giorno, e passando biascicava delle preghiere, tenendo gli occhi sur
una croce di legno piantata sull'altro canto, a tutela di passaggeri,
per scongiurare la tregenda.

Nessuno perciò poteva di certa saputa riferire che vi fosse là dentro.
Si narrava che strani ed orribili castighi avessero colpiti gli audaci,
che in addietro vi erano penetrati. Ma se alcuno non ne era uscito
vivo, chi mai osava raccontare tante storie di demonj e di streghe, di
catene strascinate, e di flagelli fischianti? Chi ne aveva respirato
l'aria pregna di zolfo, chi aveva veduta quella luce più cupa delle
tenebre, quel lago di pece e di sangue, - un novero infinito di
laidezze e d'orrori?

La paura, come quell'arbusto che ha le radici all'aria e vive non si sa
come, trova appunto nel vuoto il suo alimento. Gli occhi e gli orecchi
di un pauroso vedono ed odono più grandi cose appunto quando si trovano
fra le tenebre e nel silenzio.

Certo è che quell'edificio non sembrava avere nè padrone nè abitatori.
Una miriade di ragnateli ne suggellava gli ingressi, la ruggine aveva
saldato il chiavaccio nelle rispettive anella. Il terreno tutt'intorno
era in preda ad una vera anarchía di erbe spontanee, vergini ed intatte
chi sa da quanti anni: il rúmice, l'appio selvatico ed il verbasco
crescevano vegeti e verdeggianti; in qualche parte i cerfuglioni degli
arbusti sembravano venire alla prese per disputarsi la padronanza
di un palmo di terra. - Un grosso tronco d'edera s'avvinchiava ad un
angolo della casa, e svoltosi in più rami ricopriva in varie parti le
crepature e lo smattonato; poi con bizzarro contorcimento ripioveva
sopra sè stesso, mascherando una piccola porta, ignota a tutti, dove
erano le tracce di un va e vieni recente.

Una sola di tante dicerie s'appoggiava ad un fatto certo. - Di notte
tempo i navalestri, rimorchiando i loro batelli, o vogando attraverso
il fiume per mettere a terra i passaggeri (poichè il magnifico
ponte non era ancora compito) vedevano un lume dietro la grata della
finestra, ed avvicinandosi alle mura udivano talvolta una voce limpida
e giovanile ripetere soavi melodie, cui il sommesso mormorare delle
acque ed il lontano strepito delle selve agitate dalla brezza notturna
aggiungevano incanto.