Sorgeva esso a due piani, da una base quadrilatera, in mezzo ad uno sfasciume di macerie ivi deposte da gran tempo ed inerbate di musco e d'ortiche. Cinto per tre lati da una spianata di terra mossa, guardava pel quarto sulle mura, e vi aveva uscita per una porta colle imposte corrose, ravvicinate da chiavistelli irrugginiti.
Tale edificio, costrutto di bigia migliolite fin sopra la finestra del piano terreno, era coperto pel resto di una rinzaffatura tutta sgretolata. L'avresti detta una torre mozza, danneggiata più dalla violenza degli uomini che non del tempo, cui erasi aggiunto un tetto d'ardesia per destinarla ad abitazione d'alcuno. Dalle sue forme robuste traspariva alcunché di ribaldo; rassomigliava ad un vecchio, che, dal suo reggersi fermo e dal suo fare risoluto, lascia indovinare essere egli stato a' suoi dì un prode.
La muraglia era qua e là sparsa di finestre, che più propriamente si sarebbero chiamate feritoie, tanto erano alte e ristrette. Solo una aprivasi più ampia verso le mura, e quella era contornata da un giro di pietre disposte ad arco, entro cui due minori volte coincidevano sull'àbaco di una esile colonna spirale. Grosse spranghe di ferro attraversavano orizzontalmente ogni apertura, ed una grata egualmente solida, ma meno inelegante, chiudeva dietro la colonna la finestra superiore.
Se questo edificio sorgesse a' dì nostri, non s'avrebbe fatica ad indovinarne l'origine; fors'anche qualche leggenda tradizionale ci porrebbe sulla via di scoprirne e di tesserne la storia. - Ma lasciando da banda le indagini inutili, v'ha quanto basta per classificarlo tra gli avanzi di quelle bastite, entro cui nel medio evo si ricoverava la prepotenza feudale; ridotti inaccessibili, di cui, più che altra città, andava superba la cospicua sede dei re longobardi.
L'imaginosa credulità degli uomini d'allora correva al di là di questa spiegazione, e ravvisando in quelle ruine abbandonate l'ignominiosa decrepitezza attribuita alle fatucchiere, nutriva la credenza che fossero opera d'arte diabolica; che fantasmi e spettri ivi convenissero ogni notte a celebrare riti infami. - Nessuno osava quindi mettere piede là dentro, e neppure avvicinarsi a quelle mura. E se taluno era costretto a percorrere il sentiero vicino, vi si metteva di pieno giorno, e passando biascicava delle preghiere, tenendo gli occhi sur una croce di legno piantata sull'altro canto, a tutela di passaggeri, per scongiurare la tregenda.
Nessuno perciò poteva di certa saputa riferire che vi fosse là dentro. Si narrava che strani ed orribili castighi avessero colpiti gli audaci, che in addietro vi erano penetrati. Ma se alcuno non ne era uscito vivo, chi mai osava raccontare tante storie di demonî e di streghe, di catene strascinate, e di flagelli fischianti? Chi ne aveva respirato l'aria pregna di zolfo, chi aveva veduta quella luce più cupa delle tenebre, quel lago di pece e di sangue, - un novero infinito di laidezze e d'orrori?
La paura, come quell'arbusto che ha le radici all'aria e vive non si sa come, trova appunto nel vuoto il suo alimento. Gli occhi e gli orecchi di un pauroso vedono ed odono più grandi cose appunto quando si trovano fra le tenebre e nel silenzio.
Certo è che quell'edificio non sembrava avere né padrone né abitatori. Una miriade di ragnateli ne suggellava gli ingressi, la ruggine aveva saldato il chiavaccio nelle rispettive anella. Il terreno tutt'intorno era in preda ad una vera anarchia di erbe spontanee, vergini ed intatte chi sa da quanti anni: il rúmice, l'appio selvatico ed il verbasco crescevano vegeti e verdeggianti; in qualche parte i cerfuglioni degli arbusti sembravano venire alle prese per disputarsi la padronanza di un palmo di terra. - Un grosso tronco d'edera s'avvinchiava ad un angolo della casa, e svoltosi in più rami ricopriva in varie parti le crepature e lo smattonato; poi con bizzarro contorcimento ripioveva sopra sé stesso, mascherando una piccola porta, ignota a tutti, dove erano le tracce di un va e vieni recente.
Una sola di tante dicerie s'appoggiava ad un fatto certo. - Di notte tempo i navalestri, rimorchiando i loro batelli, o vogando attraverso il fiume per mettere a terra i passaggeri (poiché il magnifico ponte non era ancora compito) vedevano un lume dietro la grata della finestra, ed avvicinandosi alle mura udivano talvolta una voce limpida e giovanile ripetere soavi melodie, cui il sommesso mormorare delle acque ed il lontano strepito delle selve agitate dalla brezza notturna aggiungevano incanto.
Tale edificio, costrutto di bigia migliolite fin sopra la finestra del piano terreno, era coperto pel resto di una rinzaffatura tutta sgretolata. L'avresti detta una torre mozza, danneggiata più dalla violenza degli uomini che non del tempo, cui erasi aggiunto un tetto d'ardesia per destinarla ad abitazione d'alcuno. Dalle sue forme robuste traspariva alcunché di ribaldo; rassomigliava ad un vecchio, che, dal suo reggersi fermo e dal suo fare risoluto, lascia indovinare essere egli stato a' suoi dì un prode.
La muraglia era qua e là sparsa di finestre, che più propriamente si sarebbero chiamate feritoie, tanto erano alte e ristrette. Solo una aprivasi più ampia verso le mura, e quella era contornata da un giro di pietre disposte ad arco, entro cui due minori volte coincidevano sull'àbaco di una esile colonna spirale. Grosse spranghe di ferro attraversavano orizzontalmente ogni apertura, ed una grata egualmente solida, ma meno inelegante, chiudeva dietro la colonna la finestra superiore.
Se questo edificio sorgesse a' dì nostri, non s'avrebbe fatica ad indovinarne l'origine; fors'anche qualche leggenda tradizionale ci porrebbe sulla via di scoprirne e di tesserne la storia. - Ma lasciando da banda le indagini inutili, v'ha quanto basta per classificarlo tra gli avanzi di quelle bastite, entro cui nel medio evo si ricoverava la prepotenza feudale; ridotti inaccessibili, di cui, più che altra città, andava superba la cospicua sede dei re longobardi.
L'imaginosa credulità degli uomini d'allora correva al di là di questa spiegazione, e ravvisando in quelle ruine abbandonate l'ignominiosa decrepitezza attribuita alle fatucchiere, nutriva la credenza che fossero opera d'arte diabolica; che fantasmi e spettri ivi convenissero ogni notte a celebrare riti infami. - Nessuno osava quindi mettere piede là dentro, e neppure avvicinarsi a quelle mura. E se taluno era costretto a percorrere il sentiero vicino, vi si metteva di pieno giorno, e passando biascicava delle preghiere, tenendo gli occhi sur una croce di legno piantata sull'altro canto, a tutela di passaggeri, per scongiurare la tregenda.
Nessuno perciò poteva di certa saputa riferire che vi fosse là dentro. Si narrava che strani ed orribili castighi avessero colpiti gli audaci, che in addietro vi erano penetrati. Ma se alcuno non ne era uscito vivo, chi mai osava raccontare tante storie di demonî e di streghe, di catene strascinate, e di flagelli fischianti? Chi ne aveva respirato l'aria pregna di zolfo, chi aveva veduta quella luce più cupa delle tenebre, quel lago di pece e di sangue, - un novero infinito di laidezze e d'orrori?
La paura, come quell'arbusto che ha le radici all'aria e vive non si sa come, trova appunto nel vuoto il suo alimento. Gli occhi e gli orecchi di un pauroso vedono ed odono più grandi cose appunto quando si trovano fra le tenebre e nel silenzio.
Certo è che quell'edificio non sembrava avere né padrone né abitatori. Una miriade di ragnateli ne suggellava gli ingressi, la ruggine aveva saldato il chiavaccio nelle rispettive anella. Il terreno tutt'intorno era in preda ad una vera anarchia di erbe spontanee, vergini ed intatte chi sa da quanti anni: il rúmice, l'appio selvatico ed il verbasco crescevano vegeti e verdeggianti; in qualche parte i cerfuglioni degli arbusti sembravano venire alle prese per disputarsi la padronanza di un palmo di terra. - Un grosso tronco d'edera s'avvinchiava ad un angolo della casa, e svoltosi in più rami ricopriva in varie parti le crepature e lo smattonato; poi con bizzarro contorcimento ripioveva sopra sé stesso, mascherando una piccola porta, ignota a tutti, dove erano le tracce di un va e vieni recente.
Una sola di tante dicerie s'appoggiava ad un fatto certo. - Di notte tempo i navalestri, rimorchiando i loro batelli, o vogando attraverso il fiume per mettere a terra i passaggeri (poiché il magnifico ponte non era ancora compito) vedevano un lume dietro la grata della finestra, ed avvicinandosi alle mura udivano talvolta una voce limpida e giovanile ripetere soavi melodie, cui il sommesso mormorare delle acque ed il lontano strepito delle selve agitate dalla brezza notturna aggiungevano incanto.