Proponendomi io di scrivere la storia delle cose succedute in Italia ai
tempi nostri, non so quello che gli uomini della presente età saran per
dire di me. Conciossiachè mancati col finire del decimo sesto secolo gli
eccellenti storici fiorentini, i quali soli forse fra gli storici di
tutti i tempi e di tutte le nazioni scrissero senza studio di parti la
verità, i tempi andarono sì fattamente peggiorandosi, e l'adulazione in
guisa tale distendendosi, che il volere scrivere la storia con sincerità
pare opera piuttosto incredibile, che maravigliosa. E non so perch'io
m'oda dire tuttavia, che la storia è il lume del tempo, e che insegna
bene il fatto loro ai popoli, ed ai principi: imperciocchè, scritta
secondo il costume che prevalse, io non so quale altra cosa ella possa
insegnare altrui, fuori che a dir le bugie; e qual buona guida nel
malagevole cammino della nostra vita siano queste, ognun sel vede,
stantechè i negozi umani con la realtà si governano, non con le chimere.
E già i più tra coloro ai quali io appalesai questo mio pensiero, mi
dissero apertamente o ch'io non oserei, o ch'io non potrei, od
all'ultimo ch'io non dovrei mandarlo ad esecuzione. Pure, pare a me, che
se l'adulazione si cerca da una parte, che certamente si cerca, molto
ancora più si offra dall'altra, e che più ancora siano da accagionarsi
di viltà gli scrittori, che di rigore, o di ambizione i principi. Per la
qual cosa io, che di maggior libertà nello scrivere non pretendo di
godermi di quella, cui Benedetto Varchi, o Francesco Guicciardini
ottennero dal duca Cosimo, e Niccolò Machiavelli dal pontefice romano,
il quale concesse anco un amplissimo privilegio per la stampa delle sue
opere, mi confido che comportare mi si possa: salvochè si voglia
credere, od almeno dire, ciò che credeva e diceva colui, che ai nostri
dì avrebbe voluto spegnere anco il nome della libertà, cioè che tutto il
male (così chiamava egli il desiderio mostrato prima dai principi,
poscia dai popoli, di un governo più benigno) procedette dal secolo di
Leone X. Che se ad alcuni sembrasse essere le cose più tenere oggidì,
che ai tempi passati, dirò che anche allora furono, come negli anni
vicini a noi, massime nella misera Italia, inondazioni di eserciti
forestieri, arsioni di città, rapine di popoli, devastazioni di
provincie, sovvertimenti di stati, e fazioni, e sette, e congiure, ed
ambizioni crudeli, ed avarizie ladre, e debolezze di governi effeminati,
e fraudi di reggimenti iniqui, e sfrenatezze di popoli scatenati. Per
me, sonmi del tutto risoluto, se a tanto si estenderanno le forze del
mio ingegno, a mandare ai posteri con verità la compassionevol trama di
tanti accidenti atroci, di cui la memoria sola ancora ci sgomenta.
Seguane poi ciò che vuole: che la vita è breve, ed il contento di avere
adempiute le parti che a buono e fedele storico si appartengono, è
grande, e quasi infinito. Oltrechè di conforto non poco sarammi il
raccontare, come farò, con uguale sincerità le cose liete, utili, e
grandi, che fra tanti lagrimevoli casi si operarono per un benigno
risguardo della divina providenza che mai non abbandona del tutto i
miseri mortali.
tempi nostri, non so quello che gli uomini della presente età saran per
dire di me. Conciossiachè mancati col finire del decimo sesto secolo gli
eccellenti storici fiorentini, i quali soli forse fra gli storici di
tutti i tempi e di tutte le nazioni scrissero senza studio di parti la
verità, i tempi andarono sì fattamente peggiorandosi, e l'adulazione in
guisa tale distendendosi, che il volere scrivere la storia con sincerità
pare opera piuttosto incredibile, che maravigliosa. E non so perch'io
m'oda dire tuttavia, che la storia è il lume del tempo, e che insegna
bene il fatto loro ai popoli, ed ai principi: imperciocchè, scritta
secondo il costume che prevalse, io non so quale altra cosa ella possa
insegnare altrui, fuori che a dir le bugie; e qual buona guida nel
malagevole cammino della nostra vita siano queste, ognun sel vede,
stantechè i negozi umani con la realtà si governano, non con le chimere.
E già i più tra coloro ai quali io appalesai questo mio pensiero, mi
dissero apertamente o ch'io non oserei, o ch'io non potrei, od
all'ultimo ch'io non dovrei mandarlo ad esecuzione. Pure, pare a me, che
se l'adulazione si cerca da una parte, che certamente si cerca, molto
ancora più si offra dall'altra, e che più ancora siano da accagionarsi
di viltà gli scrittori, che di rigore, o di ambizione i principi. Per la
qual cosa io, che di maggior libertà nello scrivere non pretendo di
godermi di quella, cui Benedetto Varchi, o Francesco Guicciardini
ottennero dal duca Cosimo, e Niccolò Machiavelli dal pontefice romano,
il quale concesse anco un amplissimo privilegio per la stampa delle sue
opere, mi confido che comportare mi si possa: salvochè si voglia
credere, od almeno dire, ciò che credeva e diceva colui, che ai nostri
dì avrebbe voluto spegnere anco il nome della libertà, cioè che tutto il
male (così chiamava egli il desiderio mostrato prima dai principi,
poscia dai popoli, di un governo più benigno) procedette dal secolo di
Leone X. Che se ad alcuni sembrasse essere le cose più tenere oggidì,
che ai tempi passati, dirò che anche allora furono, come negli anni
vicini a noi, massime nella misera Italia, inondazioni di eserciti
forestieri, arsioni di città, rapine di popoli, devastazioni di
provincie, sovvertimenti di stati, e fazioni, e sette, e congiure, ed
ambizioni crudeli, ed avarizie ladre, e debolezze di governi effeminati,
e fraudi di reggimenti iniqui, e sfrenatezze di popoli scatenati. Per
me, sonmi del tutto risoluto, se a tanto si estenderanno le forze del
mio ingegno, a mandare ai posteri con verità la compassionevol trama di
tanti accidenti atroci, di cui la memoria sola ancora ci sgomenta.
Seguane poi ciò che vuole: che la vita è breve, ed il contento di avere
adempiute le parti che a buono e fedele storico si appartengono, è
grande, e quasi infinito. Oltrechè di conforto non poco sarammi il
raccontare, come farò, con uguale sincerità le cose liete, utili, e
grandi, che fra tanti lagrimevoli casi si operarono per un benigno
risguardo della divina providenza che mai non abbandona del tutto i
miseri mortali.