La mia timidezza proveniva, in gran parte, dal convincimento della
inferiorità fisica a cui mi credevo condannato, e dal sentimento della
mia inferiorità intellettuale che giudicavo dovesse risultare da quella.
Non già che io mi stimassi uno sciocco, no; sapevo benissimo quel che
valevo; valevo quanto molti altri. Ma che importava? Non valevo però
tanto da essere assai più di molti altri. Misuravo la distanza frapposta
tra quel che sapevo di essere e quel che avrei voluto e non avrei potuto
mai essere, e mi sentivo preso da scoraggiamento che mi rendeva
eccessivamente severo con me stesso, fino a farmi giudicare inutile
qualunque sforzo, anzi inutile la vita medesima! Avrei voluto essere un
braccio, una mano; e potevo appena fare la funzione di un meschino
strumento in mano altrui, caso che ci fosse stato chi avesse voluto
adoprarmi in qualche umile circostanza. Non sapevo rassegnarmi.
In quei quattro anni, ero passato per una serie di prove tentate una
dietro all'altra, non la speranza che, forse, quando meno me l'attendevo
e da dove meno l'attendevo, sarebbe venuta fuori la coscienza della mia
vita, la ragione del mio avvenire.
Ecco, invece, quel che n'era venuto fuori.
Ma prima debbo dire di un'altra anomalia del mio organismo. - Debole, ero
poco sensibile; e avrei dovuto essere l'opposto.
Non mi eccitavo per nulla; non avevo scatti di ribellione o di allegria,
come gli altri fanciulli. Ripensando, oggi, le mie sensazioni di allora,
rimettendomi con la immaginazione in quello stato, mi sento intorpidito,
impacciato, incapace di ricevere intero l'urto delle impressioni
esterne, di trasformarlo, di assimilarlo; quasi mi mancasse l'attitudine
della resistenza, quasi i miei nervi fossero stati di bambagia.
Era proprio così. Tutto veniva a posarvisi, ad adagiarvisi cautamente,
dolcemente, sofficemente. E non posso prolungar molto questo sforzo
dell'immaginazione per rivivere la mia fanciullezza e spiegarmela.
Soffro ora quel che non soffrivo allora; mi sento mancar l'aria, mi
sento imprigionato dentro me stesso; e mi vengono le lagrime agli occhi
per quegli anni così smorti, così tristi, per quella, sto per dire, mia
anticipata vecchiezza.
inferiorità fisica a cui mi credevo condannato, e dal sentimento della
mia inferiorità intellettuale che giudicavo dovesse risultare da quella.
Non già che io mi stimassi uno sciocco, no; sapevo benissimo quel che
valevo; valevo quanto molti altri. Ma che importava? Non valevo però
tanto da essere assai più di molti altri. Misuravo la distanza frapposta
tra quel che sapevo di essere e quel che avrei voluto e non avrei potuto
mai essere, e mi sentivo preso da scoraggiamento che mi rendeva
eccessivamente severo con me stesso, fino a farmi giudicare inutile
qualunque sforzo, anzi inutile la vita medesima! Avrei voluto essere un
braccio, una mano; e potevo appena fare la funzione di un meschino
strumento in mano altrui, caso che ci fosse stato chi avesse voluto
adoprarmi in qualche umile circostanza. Non sapevo rassegnarmi.
In quei quattro anni, ero passato per una serie di prove tentate una
dietro all'altra, non la speranza che, forse, quando meno me l'attendevo
e da dove meno l'attendevo, sarebbe venuta fuori la coscienza della mia
vita, la ragione del mio avvenire.
Ecco, invece, quel che n'era venuto fuori.
Ma prima debbo dire di un'altra anomalia del mio organismo. - Debole, ero
poco sensibile; e avrei dovuto essere l'opposto.
Non mi eccitavo per nulla; non avevo scatti di ribellione o di allegria,
come gli altri fanciulli. Ripensando, oggi, le mie sensazioni di allora,
rimettendomi con la immaginazione in quello stato, mi sento intorpidito,
impacciato, incapace di ricevere intero l'urto delle impressioni
esterne, di trasformarlo, di assimilarlo; quasi mi mancasse l'attitudine
della resistenza, quasi i miei nervi fossero stati di bambagia.
Era proprio così. Tutto veniva a posarvisi, ad adagiarvisi cautamente,
dolcemente, sofficemente. E non posso prolungar molto questo sforzo
dell'immaginazione per rivivere la mia fanciullezza e spiegarmela.
Soffro ora quel che non soffrivo allora; mi sento mancar l'aria, mi
sento imprigionato dentro me stesso; e mi vengono le lagrime agli occhi
per quegli anni così smorti, così tristi, per quella, sto per dire, mia
anticipata vecchiezza.