Testo - "Linguaggio e proverbi marinareschi" Emanuele Celesia

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Assorto in questi pensieri, ei divisava continuo il modo di migliorare
le condizioni della gente di mare, e rigenerarla a nuova vita. E invero
i nostri marini, dal capitano fino all'ultimo mozzo, quanto erano
valenti di braccio e capaci di governare per sola pratica una nave fra
traversie d'ogni fatta, altrettanto andavano quasi digiuni di quelle
cognizioni scientifiche, che pur si richieggono a formare un intrepido
capitano, un destro pilota, un buon marinaio. Oggidì l'arte nautica
è una scienza, anzi un complesso di scienze difficilissime, le quali
hanno il lor fondamento non tanto sull'esercizio del navigare, quanto
eziandio sopra i libri. Ed ei, lo Schiaffino, che gran parte della sua
giovinezza avea speso sui legni americani ed inglesi, e conosciuto di
quanto sapere andassero forniti i loro equipaggi, non potea mandar giù
in santa pace la crassa ignoranza, che in Italia ancora offendea la
gente dedita al mare.

Inoltre; le povere condizioni del semplice marinaio lo affliggevano
d'assai; poichè se è a sperare, ei pensava, che le molte scuole
nautiche, ond'è ricca l'Italia, possano dare al paese una generazione
di naviganti che risponda alle necessità odierne, e tale da
rivaleggiare colle altre nazioni, il misero marinaio che non può
usare a tale scuole, e che va privo perfino dei primi elementi di
lettere, trarrà sempre povera e grama la vita. Così questa classe tanto
benemerita de' nostri commerci, di costume integro ed onesto, fiera
come leone e in un mansueta al pari d'agnello, esempio d'ogni virtù
religiosa e domestica, questa classe che incallisce sul remo e il più
del tempo disgiunta da cari suoi, si mitre di un frusto muffito per
raggranellare di che sostentare la moglie diletta e i figliuoli, non
troverà mai chi la sollevi alla vera dignità di uomo.

I suoi disegni d'avvantaggiare le sorti dei marinai e di educarli
possibilmente alla scienza, erano in lui raffermati da quotidiani
avvenimenti che vieppiù lo accendeano nella sua fede.

Lungo la spiaggia di Sori sorge a uscio e tetto un abituro, che diresti
privo di ogni ben di Dio. È notte alta; sovra un nudo giaciglio dormono
tre fanciulletti, a cui sonni veglia una madre ancora giovane d'anni,
ma pallida e rifinita dalle protratte vigilie. Com'è stile delle
donne delle nostre costiere, essa è intenta a condurre innanzi alcuni
merletti; senonchè più che al lavoro, corrono i suoi sguardi a specie
lare il sinistro aspetto del cielo, che poteva affissare dall'aperta
finestra. E l'orizzonte mostravasi tetro e il mare a montoni, cagione
a quella misera d'infinita amarezza, certa qual era che in quelle
acque aveva l'istesso giorno dato fondo il naviglio, che dopo un anno
di lontananza recava alle sue braccia uno sposo adorato. Ella vedea
con terrore alla luce de' lampi l'agitarsi d'una nave in contrasto co'
flutti; e quando il vento per brevi istanti taceva, pareale udire le
strida de' marinai invocanti soccorso. E allora cacciato a terra il
suo tombolo, accendea prestamente una lampada ad un'immagine sacra che
pendea sopra il capezzale, e svegliati di botto i figliuoli traeali
innanzi a quella dicendo fra i singhiozzi - pregate, viscere mie,
pregate la Madonna di Monte Allegro che vi renda salvo il genitore.