Quando partii per Londra, cominciava a farsi notte, mi rincantucciai nel
vagone e mi misi ad assaporare quel grande pensiero che di là a poche
ore sarei stato a Londra. - Londra! - Mi ripetevo questo nome, me lo
facevo sonare nella mente con compiacenza, come si fa sonare sul tavolo
una moneta d'oro. - Londra! - Provavo non so che gusto a dire a me stesso,
come se non l'avessi saputo prima, che era una città spropositata, un
mare magno, una babilonia, un caos, una cosa favolosa. - È la più grande
città della terra! pensavo, - e in questo v'è qualcosa di assoluto, che
in nessun'altra città si ritrova, perchè, se ve n'ha delle altre più
belle, di quale si può dire: - È la più bella? - È un piacere nuovo quello
di veder qualche cosa che, in un certo senso, occupi incontrastabilmente
il supremo grado nel mondo; qualche cosa di là da cui non si può
spingere il pensiero senza entrar nel regno dei sogni; qualche cosa
dinanzi a cui potete dire: - Nessun uomo ha visto mai nulla di più
grande! - E poi mi rallegravo pensando che andavo a Londra solo, senza
conoscerci nessuno, senza lettere di raccomandazione, come ci si deve
andare per potersi sentir smarriti in quell'oceano, per provarci quel
sentimento quasi di paura, che infondono i grandi spazi ignoti, per
essere schiacciati, per ricevere, in una parola, l'impressione schietta
ed intera che quella città immensa deve produrre nell'animo d'uno
straniero. E quanto a questo, avevo anco il vantaggio di non sapere una
saetta d'inglese, di esser corto a quattrini, di non avere che una
valigetta che spirava miseria, e infine tutto quello che ci vuole per
sentirsi piccino e meschino in una grande città sconosciuta. Pensando a
tutto questo, mi davo una fregatina alle mani e dicevo: - Londra, son
pronto!
vagone e mi misi ad assaporare quel grande pensiero che di là a poche
ore sarei stato a Londra. - Londra! - Mi ripetevo questo nome, me lo
facevo sonare nella mente con compiacenza, come si fa sonare sul tavolo
una moneta d'oro. - Londra! - Provavo non so che gusto a dire a me stesso,
come se non l'avessi saputo prima, che era una città spropositata, un
mare magno, una babilonia, un caos, una cosa favolosa. - È la più grande
città della terra! pensavo, - e in questo v'è qualcosa di assoluto, che
in nessun'altra città si ritrova, perchè, se ve n'ha delle altre più
belle, di quale si può dire: - È la più bella? - È un piacere nuovo quello
di veder qualche cosa che, in un certo senso, occupi incontrastabilmente
il supremo grado nel mondo; qualche cosa di là da cui non si può
spingere il pensiero senza entrar nel regno dei sogni; qualche cosa
dinanzi a cui potete dire: - Nessun uomo ha visto mai nulla di più
grande! - E poi mi rallegravo pensando che andavo a Londra solo, senza
conoscerci nessuno, senza lettere di raccomandazione, come ci si deve
andare per potersi sentir smarriti in quell'oceano, per provarci quel
sentimento quasi di paura, che infondono i grandi spazi ignoti, per
essere schiacciati, per ricevere, in una parola, l'impressione schietta
ed intera che quella città immensa deve produrre nell'animo d'uno
straniero. E quanto a questo, avevo anco il vantaggio di non sapere una
saetta d'inglese, di esser corto a quattrini, di non avere che una
valigetta che spirava miseria, e infine tutto quello che ci vuole per
sentirsi piccino e meschino in una grande città sconosciuta. Pensando a
tutto questo, mi davo una fregatina alle mani e dicevo: - Londra, son
pronto!