La povera donna prese la sua calza e si mise a sferruzzare
frettolosamente. Dopo le asciutte risposte di Bianca non osava toccar
della lettera urgentissima, quantunque comprendesse bene che il segreto
di questo probabile ritorno in famiglia doveva trovarsi lì. Lavorava e
taceva, sperando ottenere qualche spiegazione col silenzio ch'era come
un dignitoso dolersi del riserbo di Bianca, un espresso aspettare che
parlasse. Ma Bianca non aperse bocca, per cui, verso le dieci, la buona
signora, mortificata e non avendo il coraggio di usare autorità, posò
il suo lavoro, chiese alla figlia se volesse andare a letto.
Bianca rispose di non aver sonno. Sarebbe andata volentieri nella
saletta del piano a fare un po' di musica. La mamma voleva tenerle
compagnia, ma ella protestò tanto nervosamente che la signora Giovanna
le chiese scusa e, accesale una candela, salì le scale con la sua cerea
faccia curva sul lumicino a petrolio.
Bianca s'avviò invece per il corridoio che mette alle camere deserte
nell'angolo nord-ovest della casa. Entrò in una sala non grande, ma
molto alta, tutta istoriata di affreschi mitologici, vuota; e accese
con mano ferma le candele del suo piano attraversato a un canto. La
lenta luce si allargò, a destra, sopra un tavolino zeppo di musica; a
sinistra, sopra una giardiniera; in alto, su per le membra enormi di
non so quali Divinità. Non v'erano altri mobili in tutta la sala; i
passi della giovine signora vi pigliavano un suono lungo, vibrante.
Ella guardò l'orologio: le dieci erano imminenti. Cercò un pezzo di
musica e lo posò sul leggio del piano. Poi si trasse dal petto il
ritratto di Torranza, guardò a lungo la calva testa scultoria del
poeta. Oh, voleva bene accontentarne l'ultimo desiderio quand'anche
fosse una follìa, voleva fedelmente comporgli la scena poetica, cui
egli aveva forse pensato con qualche compiacimento prima di morire!
frettolosamente. Dopo le asciutte risposte di Bianca non osava toccar
della lettera urgentissima, quantunque comprendesse bene che il segreto
di questo probabile ritorno in famiglia doveva trovarsi lì. Lavorava e
taceva, sperando ottenere qualche spiegazione col silenzio ch'era come
un dignitoso dolersi del riserbo di Bianca, un espresso aspettare che
parlasse. Ma Bianca non aperse bocca, per cui, verso le dieci, la buona
signora, mortificata e non avendo il coraggio di usare autorità, posò
il suo lavoro, chiese alla figlia se volesse andare a letto.
Bianca rispose di non aver sonno. Sarebbe andata volentieri nella
saletta del piano a fare un po' di musica. La mamma voleva tenerle
compagnia, ma ella protestò tanto nervosamente che la signora Giovanna
le chiese scusa e, accesale una candela, salì le scale con la sua cerea
faccia curva sul lumicino a petrolio.
Bianca s'avviò invece per il corridoio che mette alle camere deserte
nell'angolo nord-ovest della casa. Entrò in una sala non grande, ma
molto alta, tutta istoriata di affreschi mitologici, vuota; e accese
con mano ferma le candele del suo piano attraversato a un canto. La
lenta luce si allargò, a destra, sopra un tavolino zeppo di musica; a
sinistra, sopra una giardiniera; in alto, su per le membra enormi di
non so quali Divinità. Non v'erano altri mobili in tutta la sala; i
passi della giovine signora vi pigliavano un suono lungo, vibrante.
Ella guardò l'orologio: le dieci erano imminenti. Cercò un pezzo di
musica e lo posò sul leggio del piano. Poi si trasse dal petto il
ritratto di Torranza, guardò a lungo la calva testa scultoria del
poeta. Oh, voleva bene accontentarne l'ultimo desiderio quand'anche
fosse una follìa, voleva fedelmente comporgli la scena poetica, cui
egli aveva forse pensato con qualche compiacimento prima di morire!