Nei mesi della state il sole scende talora in quel baratro e vi fa
fumare le pozzanghere dei letamai, ma dura poco; i raggi non vi giungono
che a perpendicolo, appena inclinati il monte li intercetta. Quei
paesani non vedono mai l'ombra delle loro case, non conoscono i bei
lembi oscuri di terreno contorniati da terreni luminosi, nè
l'affievolirsi graduale dei raggi nelle ore del tramonto. Là il sole
dardeggia o tace, vi piomba come un fulmine, arde un momento e scompare.
L'inverno dura sei mesi, nei quali la vicenda delle ore non produce che
un alternarsi di diverse oscurità; la mezza luce che regna costante
impedisce i crepuscoli o almeno non li lascia avvertire, la notte ed il
giorno si seguono rapidamente come per l'abbassarsi o il levarsi
repentino di una cortina. I villani leggono per così dire il nome di
ogni mese sulle alture delle montagne; in novembre il sole non giunge
che a quel punto, in dicembre a quell'altro, gennaio lo attira più in
basso, febbraio più basso ancora, finchè giugno lo reca in paese e
settembre ne lo riporta via. Le nebbie vi sono frequenti e fitte, i muri
delle case che se ne imbevvero mostrano qua e là sgretolati delle pietre
lucide sudanti per l'umido. Quando l'aria è tranquilla il paese manda un
odore eguale di stalla, di latte, di fieno, con qualche nota caprina
acuta come un sibilo. Colla nebbia gli odori si condensano e penetrano
nel vestimento. La via fu già e forse dura selciata tuttora, protetta
com'è da uno spesso strato di melma, di letame e di pagliume che la fa
meno sdrucciolevole ed assorda il rumore dei passi sicchè pare che la
gente vi cammini in punta di piedi. D'altronde gli abitanti portano
certe scarpe di panno colla suola di corda intrecciata che non fanno
rumore; dalla via si vedono le donne salire su per le scale di legno e
passare lungo i ballatoi senza rendere il menomo suono.
Un forestiere che vi giungesse a sera, lo crederebbe un paese maledetto
e disabitato. Siccome le stalle non guardano verso la via, non c'è lume
a nessuna finestra; solo pei chiassuoli fra una casa e l'altra si vede
talora un piccolo cerchio di luce pallida, incerta, una bianchezza
nebbiosa diffusa per l'aria che mette in pensiero di nefandi sortilegi.
Quella luce esce traverso i vetri unti, sudanti, rabescati di ragnatele,
di una finestrucola bassa e stretta aperta a fior di terra. Di là, col
poco raggio giungono suoni che non hanno nome, voci sommesse che
sembrano provenire dalle viscere della terra, senza intervalli, simili a
preghiere bisbigliate in una cripta intorno ad un sepolcro.
Gli abitanti vestono di nero, le donne portano in capo una cuffia nera e
gli uomini un berrettone dello stesso colore. Parlano poco, ridono poco,
hanno l'aria sospettosa e dolente propria degli esseri che vivono
isolati. Infatti, quel paese non vede forse dieci forestieri l'anno, e
di quelli, cinque almeno sono fuggiaschi in cerca di valichi difficili
ed ignorati; gente che giunge a notte, si rimpiatta sui fienili e parte
prima che aggiorni.
fumare le pozzanghere dei letamai, ma dura poco; i raggi non vi giungono
che a perpendicolo, appena inclinati il monte li intercetta. Quei
paesani non vedono mai l'ombra delle loro case, non conoscono i bei
lembi oscuri di terreno contorniati da terreni luminosi, nè
l'affievolirsi graduale dei raggi nelle ore del tramonto. Là il sole
dardeggia o tace, vi piomba come un fulmine, arde un momento e scompare.
L'inverno dura sei mesi, nei quali la vicenda delle ore non produce che
un alternarsi di diverse oscurità; la mezza luce che regna costante
impedisce i crepuscoli o almeno non li lascia avvertire, la notte ed il
giorno si seguono rapidamente come per l'abbassarsi o il levarsi
repentino di una cortina. I villani leggono per così dire il nome di
ogni mese sulle alture delle montagne; in novembre il sole non giunge
che a quel punto, in dicembre a quell'altro, gennaio lo attira più in
basso, febbraio più basso ancora, finchè giugno lo reca in paese e
settembre ne lo riporta via. Le nebbie vi sono frequenti e fitte, i muri
delle case che se ne imbevvero mostrano qua e là sgretolati delle pietre
lucide sudanti per l'umido. Quando l'aria è tranquilla il paese manda un
odore eguale di stalla, di latte, di fieno, con qualche nota caprina
acuta come un sibilo. Colla nebbia gli odori si condensano e penetrano
nel vestimento. La via fu già e forse dura selciata tuttora, protetta
com'è da uno spesso strato di melma, di letame e di pagliume che la fa
meno sdrucciolevole ed assorda il rumore dei passi sicchè pare che la
gente vi cammini in punta di piedi. D'altronde gli abitanti portano
certe scarpe di panno colla suola di corda intrecciata che non fanno
rumore; dalla via si vedono le donne salire su per le scale di legno e
passare lungo i ballatoi senza rendere il menomo suono.
Un forestiere che vi giungesse a sera, lo crederebbe un paese maledetto
e disabitato. Siccome le stalle non guardano verso la via, non c'è lume
a nessuna finestra; solo pei chiassuoli fra una casa e l'altra si vede
talora un piccolo cerchio di luce pallida, incerta, una bianchezza
nebbiosa diffusa per l'aria che mette in pensiero di nefandi sortilegi.
Quella luce esce traverso i vetri unti, sudanti, rabescati di ragnatele,
di una finestrucola bassa e stretta aperta a fior di terra. Di là, col
poco raggio giungono suoni che non hanno nome, voci sommesse che
sembrano provenire dalle viscere della terra, senza intervalli, simili a
preghiere bisbigliate in una cripta intorno ad un sepolcro.
Gli abitanti vestono di nero, le donne portano in capo una cuffia nera e
gli uomini un berrettone dello stesso colore. Parlano poco, ridono poco,
hanno l'aria sospettosa e dolente propria degli esseri che vivono
isolati. Infatti, quel paese non vede forse dieci forestieri l'anno, e
di quelli, cinque almeno sono fuggiaschi in cerca di valichi difficili
ed ignorati; gente che giunge a notte, si rimpiatta sui fienili e parte
prima che aggiorni.