Testo - "Beatrice Cenci" Francesco Domenico Guerrazzi

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Due giovani gentiluomini passeggiavano per la sala, taluni con veloci
e talora con tardi passi, ricambiando parole a voce alta, o sommessa.
Il primo aveva la pelle chiazzata di vermiglio come macchie di erpete;
dalle pupille nere, luccicanti traverso i cigli infiammati, traluceva
la ferocia, mescolata ad un certo smarrimento mentale: rari ed irti i
capelli: sozzi i denti: il naso camuso e le guance flosce lo
arieggiavano col cane da presa. Le vesti, comecchè nobilissime, erano
scomposte: la parola usciva impetuosa e roca dai labbri riarsi:
accenti impuri, cui forse natura per rendere più laidi volle
accompagnati con fetido fiato: rotti e continui i moti delle spalle,
dei bracci e del capo. Il delitto stava là dentro come un vulcano
prossimo a prorompere.

L'altro poi era pallido, e di aspetto gentile: copiosa e ben composta
la chioma bionda, tardo e mesto a guardare e a parlare: sovente
distratto: qualche volta sospiroso: si fermava, trasaliva, la
commozione interna svelava col tremito del labbro superiore, e
coll'agitarsi degli estremi peli dei baffi. Le vesti, i nastri, le
trine del colletto e delle maniche elegantissime. Chiunque lo avesse
veduto avrebbe esclamato a prima giunta: costui sospira.

In tonacella senza ferraiolo, simile ad una gazza che inquieta ed
obliqua saltella per casa, ecco un prete guizzare qua e là, dandosi la
maggior pena del mondo per trarre a se l'attenzione degli astanti, o
almeno di taluno fra loro. Egli favellava della state e del verno, del
caldo e del freddo, della sementa e della raccolta, ma nessuno gli
attendeva: talora domandava se in quel giorno avrebbe potuto avere la
degnazione di parlare con sua Eccellenza il clarissimo signor Conte;
tal altra a quale ora egli soleva levarsi, e a quale asciolvere; se
costumava spendere molto tempo attorno alle mondizie della persona, e
se tutti i giorni desse udienza; era fiato gettato: nessuno gli
rispondeva, però che gli sposi rimanessero estatici nella loro
letizia; il villano paresse una statua di bronzo; il gentiluomo dal
volto vermiglio lo avesse squadrato così di traverso, da mettergli i
brividi addosso; il gentiluomo dal volto pallido lo fissasse come uomo
piovuto dalle nuvole. Il povero prete stava per dare del capo nei
muri: proprio per disperazione, di tanto in tanto apriva il breviario
e leggeva; ma col sembiante di chi trangugia medicine amare: gli occhi
gli sdrucciolavano giù per le pagine: avresti detto che avesse recato
seco cotesto libro, come colui che va ad annegarsi si porta il sasso
per legarselo al collo.

Il volto dello sciagurato prete, per ordinario tinto del giallo
pallido dei mozziconi di cera avanzati al servizio dell'altare, quasi
per impazienza si era fatto acceso: non poteva darsi pace che nessuno
gli porgesse ascolto; e sì ch'ei meritava essere avvertito, non fosse
altro per indovinare se avesse più logora la tonacella veste del suo
corpo, o il corpo veste della sua anima: logori entrambi, amici vecchi
fra loro, e, con rammarico grande del loro padrone, testimoni che
nulla ha da durare eterno nel mondo.