Ma se straniere erano le vesti, il volto lo diceva italiano, nato alla grandezza e alla sventura. Sopra la sua fronte sublime potevano la gioia e il dolore spiegarsi nell'ampiezza della loro potenza; e certo sovente se ne alternarono il dominio: se non che la gioia fugace la percosse appena col ventilare delle sue ali leggerissime di farfalla, mentre il dolore vi lasciò la impronta delle sue varie procelle, a guisa d'iscrizioni funerarie sopra la fascia dei sepolcri. Quel suo sguardo acuto manifestava ingegno prepotente, un ingegno capace di fissare lo splendore dei cieli, volgerlo alla terra e in un baleno d'intelligenza comprendere i pensieri, le sensazioni, gli affetti che passano tra i pianeti e la terra, fra il creatore e la creatura, e quindi sollevato dal fango tornarlo di nuovo a fissare nel firmamento, come protesta immortale contro lo spirito che accolse l'idea della stella e del fango, del piacere e dell'angoscia, del palpito dell'amore e del verme della putrefazione, del tiranno e dello schiavo; e ne lanciò a piene mani la moltitudine nel mondo quasi in retaggio di maledizione alla stirpe che si pentì di aver creato con anima e lingua bastevole a rimandargli contro una maledizione. Da molto tempo la sua bocca obliò il sorriso che nasce dalla vista della bellezza, dai racconti delle imprese onorate, da quando insomma, commovendo, ha virtù di esaltare l'anima umana. L'affanno inaridisce tutti senza distinzione gli affetti, la lacrima del pari che il sorriso, come fa delle piante e dei fiori il vento del deserto. Ben egli ancora rideva, ma un brivido del cuore sembrava cagionasse cotesta crispazione convulsa delle labbra; le morbide curve disegnate dalla bocca quando susurra parole di amore erano sparite; invece si scomponeva in triste linee angolari, come colui che gusta per errore una bevanda amara.
E non pertanto, malgrado segni così profondi di rovina spirituale, due corde vibravano eterne in quel cuore: la poesia e la speranza. Egli aveva provato il pane dell'esilio, nè quel suo passo incerto nasceva da noncuranza, no; quando prima lo mosse, ebbe in pensiero di recarsi a un punto determinato; poi la gioia di rivedere, dopo gli anni incresciosi dell'esilio, i luoghi diletti della sua giovanezza lo vinse sì che, dimentico di ogni altra cosa ora si aggirava alla ventura per le vie di Firenze. Oh quanto è funesta amica la memoria al povero esiliato! Quanto mal destra consolatrice! Invece d'infondere sopra la piaga olio e vino come il Samaritano dell'Evangelo, senza volerlo vi sparge zolfo infiammato. La memoria i casi più riposti della vita ricerca limpidissima, senso comparte ed affetto ai luoghi cari per un ricordo di amore, cari eziandio per lo stesso dolore: e poi tutte queste cose rallegrando col raggio più puro che mai scintillasse in cielo italiano, ad ora ad ora ne abbaglia lo spirito all'esule, non altrimenti che il fanciullo, per giuoco raccolta la luce del sole entro uno specchio, si compiace rapire per un momento la vista al passeggero con un oceano di splendore. Però l'esule si strugge nell'agonia di un desiderio febbrile e, consumato da cotesta ardente contemplazione, comprende in qual maniera i Greci antichi potessero imporre alle furie il nome di Eumenidi, che significa dolci. E perchè dovea una parte della città preporre all'altra? Non componevano tutte la diletta sua patria? Errava così alla ventura, perchè dovunque si volgesse incontrava argomenti di pietà, di piacere e di travaglio.
Se i luoghi percorsi un qualche bel fatto cittadino o una strage fraterna gli rammentassero, avresti potuto conoscere dal passo, che ora procedeva più lento ed ora si accelerava come se premesse lastre di fuoco. Adesso notava le masse portentose dei palazzi baronali, fatte più smisurate dalle tenebre, e gemeva su gli odii che gli ostelli destinati al quieto vivere civile tramutarono in fortezze; e più lungamente ancora si tratteneva a considerare le umili case dei popolani appoggiate a coteste superbe dimore per averne sostegno, nel modo stesso che nel mondo i deboli si raccomandano ai potenti per conseguirne tutela; e nel modo stesso che nel mondo i deboli, dal continuo curvarsi, acquistano soltanto avvilimento e abbandono, cotesti abituri per la prossimità delle soverchianti magioni venivano a perdere la luce e il vivido circolare dell'aria. Procedendo oltre, penetrava con gli sguardi dentro le officine degli artefici; e tentennando il capo, contemplava quei volti plebei che la necessità colorisce e corruga, e quelle mani che muove il bisogno di un pane e la passione di un eroe; quelle mani che mosse dalla piena del cuore guadagnano una corona al capo o una catena ai piedi.
Però la virtù non si era anche fatta inusitata sotto i tetti signorili, nè la misura dell'anima procedeva alla rovescia con la larghezza dei luoghi che la ricettano: pure ella fin d'allora le modeste più che le sublimi case si compiaceva visitare.
E non pertanto, malgrado segni così profondi di rovina spirituale, due corde vibravano eterne in quel cuore: la poesia e la speranza. Egli aveva provato il pane dell'esilio, nè quel suo passo incerto nasceva da noncuranza, no; quando prima lo mosse, ebbe in pensiero di recarsi a un punto determinato; poi la gioia di rivedere, dopo gli anni incresciosi dell'esilio, i luoghi diletti della sua giovanezza lo vinse sì che, dimentico di ogni altra cosa ora si aggirava alla ventura per le vie di Firenze. Oh quanto è funesta amica la memoria al povero esiliato! Quanto mal destra consolatrice! Invece d'infondere sopra la piaga olio e vino come il Samaritano dell'Evangelo, senza volerlo vi sparge zolfo infiammato. La memoria i casi più riposti della vita ricerca limpidissima, senso comparte ed affetto ai luoghi cari per un ricordo di amore, cari eziandio per lo stesso dolore: e poi tutte queste cose rallegrando col raggio più puro che mai scintillasse in cielo italiano, ad ora ad ora ne abbaglia lo spirito all'esule, non altrimenti che il fanciullo, per giuoco raccolta la luce del sole entro uno specchio, si compiace rapire per un momento la vista al passeggero con un oceano di splendore. Però l'esule si strugge nell'agonia di un desiderio febbrile e, consumato da cotesta ardente contemplazione, comprende in qual maniera i Greci antichi potessero imporre alle furie il nome di Eumenidi, che significa dolci. E perchè dovea una parte della città preporre all'altra? Non componevano tutte la diletta sua patria? Errava così alla ventura, perchè dovunque si volgesse incontrava argomenti di pietà, di piacere e di travaglio.
Se i luoghi percorsi un qualche bel fatto cittadino o una strage fraterna gli rammentassero, avresti potuto conoscere dal passo, che ora procedeva più lento ed ora si accelerava come se premesse lastre di fuoco. Adesso notava le masse portentose dei palazzi baronali, fatte più smisurate dalle tenebre, e gemeva su gli odii che gli ostelli destinati al quieto vivere civile tramutarono in fortezze; e più lungamente ancora si tratteneva a considerare le umili case dei popolani appoggiate a coteste superbe dimore per averne sostegno, nel modo stesso che nel mondo i deboli si raccomandano ai potenti per conseguirne tutela; e nel modo stesso che nel mondo i deboli, dal continuo curvarsi, acquistano soltanto avvilimento e abbandono, cotesti abituri per la prossimità delle soverchianti magioni venivano a perdere la luce e il vivido circolare dell'aria. Procedendo oltre, penetrava con gli sguardi dentro le officine degli artefici; e tentennando il capo, contemplava quei volti plebei che la necessità colorisce e corruga, e quelle mani che muove il bisogno di un pane e la passione di un eroe; quelle mani che mosse dalla piena del cuore guadagnano una corona al capo o una catena ai piedi.
Però la virtù non si era anche fatta inusitata sotto i tetti signorili, nè la misura dell'anima procedeva alla rovescia con la larghezza dei luoghi che la ricettano: pure ella fin d'allora le modeste più che le sublimi case si compiaceva visitare.